ASSOCIAZIONE AMICI DEL MUSEO PEPOLI  -  Trapani

15 La sollevazione della croce*
Gesù, un tribuno, un centurione, due giudei. 
Domenico Li Muli, 1956
Ceto Falegnami, Carpentieri, Mobilieri

1 La Separazione
2 La lavanda dei Piedi
3 Gesù nell’orto del Getzemani
4 L’arresto
5 La caduta al Cedron
6 Gesù dinanzi ad Hanna
7 La negazione
8 Gesù dinanzi ad Erode
9 La flagellazione
10 La coronazione di spine
11 Ecce Homo
12 La sentenza
13 L’ascesa al calvario
14 La spoliazione
15 La sollevazione della croce
16 La ferita al costato
17 La deposizione
18 Il trasporto al sepolcro
19 Gesù nell’urna
20 L’Addolorata

 

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delle schede

 

Nell’ora terza del venerdì (le nove del mattino), sul monte Calvario Gesù viene crocefisso (Marco XV, 22- 27). 
L’episodio della crocifissione, non espressamente descritto nei Vangeli, è stato nella Storia dell’Arte, soprattutto in pittura, interpretato con diverse varianti ed anche diversamente denominato.
“La sollevazione della croce”, come viene intitolato il quindicesimo gruppo processionale, ovvero “lo misterium che si mette in croce lo Christo” (atto 23 aprile 1620, not. M. Castiglione) fu affidato nel 1620 ai falegnami che tuttora lo curano assieme a carpentieri, carradori e mobilieri. 
Al comando di un barbuto tribuno, la croce viene innalzata per raggiungere la posizione verticale, sospinta da un centurione, mentre un giudeo tira le corde. Gesù è inchiodato mani e piedi, al legno del martirio: il suo volto, rivolto verso il braccio destro della croce e irrigato di sangue, porta i segni delle ferite provocate dalle spine della corona.
Il motivo della condanna è riportato nel cartiglio d’argento contenente l’iscrizione I.N.R.I (Iesus Nazarenus Rex Iudeorum). 
Il gruppo attuale sostituisce l’originario, di autore ignoto, distrutto durante gli eventi bellici del 1943. I falegnami decisero di rifarlo ex novo, affidandone la ricostruzione allo scultore Domenico li Muli (1902-2003); il nuovo gruppo sfilò nella processione del Venerdì Santo del 1951 ma fu subito aspramente criticato sia perché non corrispondeva ai canoni di verità realistica cui erano improntati tutti gli altri “Misteri”, sia perché era difforme dal precedente per le dimensioni più ridotte e per il numero dei personaggi - quattro invece che cinque - Gesù, due soldati e un giudeo: mancava infatti la figura del tribuno. 
A ciò si aggiunsero le proteste dei portatori che ebbero serie difficoltà nel trasporto a spalla dell’opera, tanto da minacciare l’abbandono durante la processione, a causa dell’eccessivo peso determinato dalla struttura interamente lignea delle statue. 
Il maestro, suo malgrado, fu costretto a rifare il gruppo rispettando la composizione del “Mistero” distrutto e l’iconografia dei personaggi, anche riutilizzando per la figura del tribuno qualche pezzo recuperato dalle macerie.
Molto critico è Fortunato Mondello nei confronti del gruppo originario considerato opera mediocre «uno de' primi cinque costruito, non mica da un artista ma piuttosto da un dilettante…, che non abbia alcun pregio d'arte, mel dimostrano i suoi personaggi, freddi, inoperosi nell'azione dell'episodio. Anzi, parer mio, il Gruppo trovasi in piena lotta cogli elementi della tecnica, sia per l'espressioni, sia per le proporzioni, sia per le movenze della circostanza. Il Cristo in croce, nulla ci richiama al pensiero, non ci commuove nell'animo...» (Mondello ms. 313, 1901). 
Domenico Li Muli nel rifare il gruppo, suo malgrado, fu costretto a moderare il linguaggio espressivo permeato di forte naturalismo; pur rispettando la composizione del gruppo distrutto e l’iconografia dei personaggi, non rinunciò a marcare, anche in maniera molto accentuata e nervosa, attraverso forti contrasti chiaroscurali, i lineamenti dei volti duri e segnati dei giudei, facendo trasparire la loro indole turpe e malvagia. Atteggiamento meno violento ha il tribuno che con il gesto della mano destra incita a sollevare la croce, anche per il motivo che la statua è formata da parti riutilizzate del vecchio “Mistero”.
Sul volto di Cristo, fortemente plastico e pervaso di naturalismo, Li Muli fa trasparire invece la sofferenza dell’uomo inchiodato mani e piedi, nella fase dolorosissima in cui la croce viene sollevata. 
Tutte le figure del gruppo risultano inoltre ben correlate sia tra di loro che con lo spazio. 
Si racconta che il Prof. Domenico Li Muli per “vestire” il giudeo adoperò un paio di suoi vecchi calzoni ed un camice, impregnandoli di colla. 
La prima versione dell’opera realizzata da Li Muli si trova ora nell’ex chiesa di S. Agostino.
Il gruppo che va in processione è stato sottoposto a restauro conservativo nel 1999 ad opera di Concetto Mazzaglia. (L.N.)

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