ASSOCIAZIONE AMICI DEL MUSEO PEPOLI  -  Trapani
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dovendo per così dire “rimpiazzare il paganesimo” i simulacri degli dei vennero sostituiti con personaggi biblici

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

È da ricordare che Antonello Gagini, nel ‘500 in Sicilia realizza dei crocefissi in mistura

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

a Trapani sul finire del secolo XVI e gli inizi del XVII ... si ricorse gradualmente all'uso di gruppi scultorei portati a spalle, raffiguranti i <<Misteri>> della Passione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bisogna arrivare al 1769 per avere la descrizione della tecnica ... «legno cipresso nelle sole teste, braccia, mani, piedi ed in quella porzione di gambe e petto… quali dovranno comparire ignudi; tutto il resto» cioè la struttura ...

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I tessuti degli abiti, non privi di giunture, comunque ben dissimulate dall’effetto delle pieghe e dalla stuccatura, venivano irrigiditi con strati di gesso e di colla di coniglio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il procedimento tecnico presenta analogie con quello tradizionale delle figure in cartapesta

 

 

 

 

 

 

 

 

I numerosi restauri effettuati nel corso dei secoli, hanno poi alterato l'autenticità delle opere il cui punto debole è purtroppo la fragilità

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Iacopo Sansovino in particolare usava una tecnica divenuta poi canonica per la cartapesta: legno di supporto, tela di rinforzo, strato di cartapesta, gesso e colori.

 

 

 

 

 

a Sansepolcro ... nel secolo XVI era attivo un intagliatore, Romano Alberti, detto Nero Alberti da Sansepolcro ... che «fece della polimatericità la sua specializzazione

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Altro esempio di scultura polimaterica ... sono gli ex voto conservati nel Santuario della Beata Vergine delle Grazie a Curtatone

 

 

 

 

Il confronto tra i procedimenti tecnici usati nel Cinquecento da Nero Alberti e dall’autore o dagli autori delle opere polimateriche di Curtatone rimanda inequivocabilmente alla tecnica trapanese

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Veicolo conduttore di esperienze e conoscenze nell’ambito della scultura, furono senza dubbio gli ordini religiosi: i Francescani e i Gesuiti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

All’interno dei loro attrezzati laboratori-atelier, oltre che gruppi scultorei o semplici figurine da presepe si creavano anche statue di Santi, di Maria, Giuseppe e del Bambino Gesù

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

LA SCULTURA PROCESSIONALE E LE ORIGINI

DELLA TECNICA DEL  "LEGNO TELA E COLLA"

Lina Novara*

Portare statue in processione è una pratica che affonda le sue origini nel mondo antico, sia orientale che occidentale.

Presso gli Ittiti, in India, nelle isole di Seeland in età del bronzo, in Grecia come a Roma, era in uso trasportare la divinità su carri trainati da uomini o da animali, ma anche su barche (disegni da "Viaggio intorno al mondo", Venezia, 1841).

I materiali con cui le statue erano realizzate, originariamente erano, la pietra o il marmo, ma via via venne usato anche il legno.

Lo scrittore Tito Livio, nella sua Ab urbe condita ( XXVII, 37), riferisce di una processione in onore della dea Giunone avvenuta nel 207 a.C. lungo le vie di Roma, che si apriva con due giovenche bianche (destinate al sacrificio), cui seguivano due statue in legno della dea.
Nei primi secoli dopo Cristo, prima che l’imperatore Costantino proclamasse il Cristianesimo religione ufficiale, erano diffuse varie pratiche e feste pagane, tra cui quella di andare in processione con statue degli dei.

Dovendo per così dire “rimpiazzare il paganesimo” i simulacri degli dei vennero sostituiti con personaggi biblici, allo scopo di introdurre, far conoscere ed accettare la nuova religione cristiana.

Le processioni si sono sviluppate in maniera assai più ampia durante il Medioevo con il trasporto, di solito a spalla, di una statua o di una rappresentazione di figure religiose; molto diffuso era anche il rito di portare la croce, e anche il crocefisso.

Tutto ciò determinò una diffusione di sculture, soprattutto in legno, che per motivi di peso venivano preferite al marmo. Qualora il simulacro fosse di marmo, si ricorreva ai carri per il trasporto: ricordiamo che a Trapani fino al 1954 si portava in processione la trecentesca statua marmorea della Madonna di Trapani, su un carro trainato da possenti buoi, e che tuttora a Calatafimi per la festa della Madonna del Giubino, va in processione un pregevole altorilievo in marmo della fine del ‘400 raffigurante la Madonna del Giubino con Bambino.

Al fine di rendere più leggeri i crocefissi processionali, gli artisti del ‘400 si cimentarono nella ricerca di nuovi materiali; così Antonio Pollaiolo tra il 1470 e il 1480 scelse il sughero per il grande Crocefisso (160 x 160 cm) oggi conservato nella Basilica di San Lorenzo a Firenze.

Andrea Verrocchio per un Crocefisso, avente la stessa destinazione, si servì di legno stuccato e ingessato, sughero e tela di lino ingessata e dipinta (87 cm); l’opera, oggi conservata al Museo Nazionale del Bargello di Firenze fece da modello ad altri scultori che realizzarono in Toscana crocefissi processionali con la stessa tecnica, tra cui va ricordato quello della Pieve di San Leonardo a Cerreto Guidi in provincia di Firenze, in sughero con perizoma in tela gessata, proveniente da una bottega legata alla maniera del Verrocchio.

È da ricordare che Antonello Gagini, nel ‘500 in Sicilia realizza dei crocefissi in mistura (impasto di gesso, colla, cenere, ritagli di cimosa di tessuto) per la chiese di Alcamo, di Assoro di Ciminna e Monreale. In particolare quest’ultimo ha mani e piedi scolpiti in legno di noce, e il Crocefisso di Alcamo ha perizona in tela e colla.

Quando alla fine del ‘500, le rigorose disposizioni del Concilio di Trento, vietarono le rappresentazioni sulla passione di Gesù con personaggi viventi, nelle varie aree geografiche mediterranee di religione cattolica, si scelse di affidare alle sculture processionali il compito di raccontare al popolo la passione di Cristo e di indurre lo spettatore alla meditazione, proponendo raffigurazioni fortemente suggestive.

A questo scopo sono diretti l'evidente teatralità delle scene rappresentate, i colori forti e i gesti espliciti dei diversi personaggi, disposti sulla pedana lignea come su di una scena.

Fu questo un nuovo genere di processioni, divenuto la traduzione scultorea delle rappresentazioni medievali dei Misteri dolorosi di Cristo.

La scultura spagnola del Seicento, sulla scia della pittura religiosa del periodo aureo, si fece interprete del pensiero e della dottrina della Chiesa producendo soprattutto statue lignee, dipinte con notevole realismo, che venivano portate in processione durante la Settimana Santa.

Tra i maestri ricordiamo Gregorio Fernández, attivo tra la fine del ‘500 e il primo trentennio del 600, (15761636), massimo esponente della Scuola di Valladolìd ed erede dell'espressività di Alonso Berruguete (Pietà, scultura lignea policromata di un Paso della Settimana Santa, Museo Nazionale della scultura di Valladolìd) e nel ‘600 Pedro de Mena (1628-1688), autore di opere di forte tensione emotiva (Mater Dolorosa del convento delle Descalzas Reales).

Oltre alle statue lignee si utilizzano anche statue abbigliate, antichissima usanza, rinata in età medioevale ed attestata nel Duecento, in Spagna dove si usava porre sulle statue della Vergine manti e corone; è un fenomeno questo che dal XVI secolo si svilupperà sempre più per raggiungere nel Settecento il massimo splendore pervenendo, con alterne fortune, fino ai nostri giorni.

Anche in varie parti d’Italia, dalla Liguria (come a Savona) alla Campania (come a Napoli, Sorrento e Procida) e alla Sicilia, sorsero le processioni con gruppi scultorei policromi, raffiguranti in modo plastico e drammatico i momenti della passione e morte di Cristo: i materiali usati sono il legno e la cartapesta che avrà poi un vasto sviluppo nelle zone del meridione d’Italia e soprattutto in Puglia.

Per rispondere alle rigorose disposizioni del Concilio, senza rinunciare alla spettacolarità della processione, a Trapani sul finire del secolo XVI e gli inizi del XVII, ad opera della Società del Sangue preziosissimo di Cristo, in seguito fusasi con la Confraternita di San Michele (1646), si ricorse gradualmente all'uso di gruppi scultorei portati a spalle, raffiguranti i <<Misteri>> della Passione.

Dei gruppi originari, allo stato attuale delle ricerche non si hanno notizie riguardanti sia i materiali che gli scultori cui vennero commissionati.



Fig 1 - Baldassare Pisciotta, 1769, La Negazione, Trapani, chiesa delle Anime Sante del Purgatorio

 


Fig 2 - Baldassare Pisciotta, 1769, San Pietro (part. del gruppo La Negazione), Trapani, chiesa delle Anime Sante del Purgatorio

Bisogna arrivare al 1769 per avere la descrizione della tecnica, dall’atto del 15 ottobre 1769, con il quale l’arte dei barbieri commissionò allo scultore trapanese Baldassare Pisciotta la ricostruzione ex novo del gruppo processionale La negazione (Figg. 1-2): nella commissione si specifica che lo scultore avrebbe dovuto eseguire le statue secondo il bozzetto preparatorio da lui stesso presentato ai consoli dell’Arte ed in «legno cipresso nelle sole teste, braccia, mani, piedi ed in quella porzione di gambe e petto… quali dovranno comparire ignudi; tutto il resto»I, cioè la struttura interna per il fissaggio degli arti e delle parti nude, nonché l’ancoraggio alla «vara», doveva essere di legno di castagno rivestito di sughero. L’utilizzo di quest’ultimo materiale, che talvolta veniva sostituito con della paglia, era finalizzato a dare volume alla statue, senza accrescerne il pesoII. Gli abiti dovevano essere di tela, trattati con una «prima mano di gesso sazio di colla».

Con questo procedimento che consentiva di ottenere facili soluzioni plastiche ed effetti che emulavano il legno, le statue risultavano leggere, i tempi di lavorazione veloci e i costi meno alti.

La consegna del gruppo La negazione doveva avvenire dieci giorni prima del Venerdì Santo del 1770; lo scultore Pisciotta aveva quindi a disposizione circa sei mesi di tempo per realizzare quattro sculture in «legno tela e colla» e un gallo «tutto di scultura», ossia tutto in legnoIII.

Tempi più ristretti aveva avuto imposti, sei anni prima, il «perito scultore» Antonio Nolfo che il 16 febbraio 1764 ricevette dai consoli dei fornai l’incarico di rifare ex novo «magistrevolmente, secondo… duratura e decoro» i quattro personaggi del gruppo La coronazione dei spine, «senza mai levar mano», in modo da consegnare il «Mistero» per la processione del Venerdì Santo dello stesso annoIV. Non sappiamo se Nolfo riuscì a rispettare i tempi di consegna, considerato che ricevette il saldo dell’opera due anni dopo, nel luglio 1766, assieme al pagamento di tre libbre d’oro zecchino, impiegato per ornare le vesti dei personaggi e per sei pennacchiV.

Anche Domenico Nolfo, figlio di Antonio, nel febbraio 1772 ricevette un incarico per così dire «a breve termine» per la realizzazione del gruppo La sentenza, dovendo consegnarlo prima del Venerdì Santo dello stesso annoVI.

È fuor di dubbio che questo tipo di scultura polimaterica richiedeva un lavoro di equipe, nel quale il maestro scolpiva nel legno di cipresso il volto, le mani, i piedi e le parti ignude, i lavoranti si occupavano della struttura lignea interna e i sarti avevano il compito di tagliare e confezionare i vestiti adattandoli alle statue e rendendo, a mano libera, vario ed efficace l’effetto delle pieghe. I tessuti degli abiti, non privi di giunture, comunque ben dissimulate dall’effetto delle pieghe e dalla stuccatura, venivano irrigiditi con strati di gesso e di colla di coniglio.

Seguiva l’importante fase della colorazione che doveva rendere l’effetto simile a quello del legno e la figura simile al vero; si passava poi alla lucidatura con olio di lino per gli abiti e con l’olio di noce per «il colore delle carni»VII. Alla fine le vesti potevano essere “toccate in oro”, ovvero impreziosite con decori in oro zecchino come si legge nell’atto del 31 agosto 1788, (not. A. M. Venza) con cui il mistero Gesù dinanzi ad Hanna viene affidato a fiorai e fruttivendoli (Fig. 3).


   

 
 

Fig 3 - Ignoto scultore trapanese, sec. XVIII, La Veronica (part. del gruppo Ascesa al Calvario), Trapani, chiesa delle Anime Sante del Purgatorio

 

Fig 4 - Grafico della struttura portante (part. del pannello Tecniche esecutive, Statua di S. Giovanni Apostolo “Legno tela e colla” esposto alla mostra “Legno tela &… La Scultura polimaterica trapanese tra Seicento e Novecento”,Trapani 2010-2011)

 

Fig 5- Grafico della struttura portante di statua in cartapesta

Ciascuna statua veniva fissata ad una base lignea tramite una mortasa e un tenoneVIII.

La caratteristica fondamentale di questa tecnica è che si lavorava partendo da una struttura interna, sulla quale si andavano via via costruendo i volumi con materiali diversi – legno, sughero (o paglia), tela, gesso, colla, colore - e applicando le singole parti anatomiche scolpite in legno (Fig. 4). Ogni figura risultava pertanto un esemplare unico, sempre diversa l’una dall’altra sia per il panneggio delle vesti, modellato in corso d’opera, sia per gli atteggiamenti e l'espressione dei volti.

Il procedimento tecnico presenta analogie con quello tradizionale delle figure in cartapesta che, nel XVII e XVIII secolo, soprattutto nel leccese, avevano una struttura portante a T, cui si applicavano testa, mani e piedi (Fig. 5). I gruppi scultorei che compongono l’attuale processione dei Misteri sono, per la maggior parte, opere settecentesche, frutto di rifacimenti degli originali delle prime processioni, dei quali, allo stato attuale delle ricerche, non si hanno notizie documentarie riguardanti materiali e autori, anche se si può avanzare l’ipotesi che fossero realizzati con la stessa tecnica.

Significativa è a tal proposito l’istanza, fatta nel 1765 dai consoli dei fabbri, al governatore della Compagnia di San Michele Arcangelo, di restaurare il gruppo de L’arresto, loro affidato, perché «distrutto e fracassato»XIX. Nell’accettare la richiesta il governatore precisa però che «va di patto che i suddetti consoli …. siano tenuti a consegnare alla detta Compagnia tutto quello che resterà del misterio di vecchio, cioè … teste, bracci o altro, basta che non restasse cosa … in potere di loro o altra persona»X. Questa precisazione ci induce a credere che anche il gruppo originario, presunta opera di Nicolò de Renda, fosse stato eseguito con lo stesso tipo di tecnica polimatericaXI. A conferma di ciò ricordiamo che lo scultore Vito Lombardo, imparentato con Antonio Nolfo per averne sposato la figlia, nel ricostruire il gruppo riutilizzò le teste di Gesù, di Pietro, del Giudeo e del soldato, mentre rifece interamente la figura di Malco.

Considerato che, per la particolarità della tecnica, la realizzazione di un’opera avveniva «a più mani» e che spesso nelle ricostruzioni si riutilizzavano parti scultoree preesistenti, non sempre, anche all’interno di uno stesso gruppo, oggi è possibile individuare un linguaggio stilistico omogeneo. I numerosi restauri effettuati nel corso dei secoli, hanno poi alterato l'autenticità delle opere il cui punto debole è purtroppo la fragilità: temono gli urti, i panneggi si deformano facilmente, la colla e lo stucco cedono al calore o all’umidità.

Presumendo che anche i primi gruppi dei Misteri fossero stati realizzati con la tecnica polimaterica descritta nell’atto del 1769, è da ritenere che i maestri trapanesi, per rendere il più possibile leggere le statue da portare in processione e volendo ottenere risultati somiglianti a quelli del legno, avessero sperimentato una tecnica con altri materiali; a loro erano sicuramente note le caratteristiche dei manufatti artistici diffusi in Italia nel periodo rinascimentale, realizzati con l’assemblaggio di materiali diversi, opportunamente plasmati e modellati, fino ad ottenere prodotti polimaterici di notevole complessità tecnica (Fig. 6).

 
 

Fig 6 - Domenico Nolfo, 1772, La spoliazione, Trapani, chiesa delle Anime Sante del Purgatorio

Nella ricerca delle origini della tecnica e delle fonti a cui attinsero i maestri trapanesi, va tenuto presente che in tutta l’arte del passato è stata impiegata una molteplicità di materiali; nell’arte greca, in particolare nelle statue criselefantine di Fidia o negli acròliti di Morgantina, vanno individuati gli archetipi della tecnica polimaterica.

L'acròlito è infatti un tipo di statua che presso gli antichi Greci - e talora anche presso i Romani - veniva realizzata solo nella testa, nelle braccia o mani e nei piedi, utilizzando pietra, marmo o avorio; tutto il resto della statua o veniva eseguito con materiale meno pregiato o deperibile (per esempio il legno) oppure non esisteva affatto, trattandosi unicamente di una struttura di sostegno o di una impalcatura che tratteneva le estremità scolpite. Questa struttura veniva poi rivestita con veri panneggi in tessuto.

Nei secoli seguenti non esiste periodo, fase o cultura, dal livello più alto a quello più popolare o etnologico, che non presenti contemporaneamente prodotti monomaterici e polimaterici.

Nelle botteghe polivalenti dei grandi scultori fiorentini, da quelle di Ghiberti e Donatello a quelle di Pollaiolo e Verrocchio si fece uso di materiali più svariati.

Vasari narra di imprese prestigiose sostenute da Jacopo Sansovino e Baccio da Montelupo nell’allestire un ricchissimo apparato in Firenze per la venuta di papa Leone XXII.

Iacopo Sansovino in particolare usava una tecnica divenuta poi canonica per la cartapesta: legno di supporto, tela di rinforzo, strato di cartapesta, gesso e colori.

Ed ancora Vasari, nella seconda edizione delle Vite, attribuisce ad Iacopo della Quercia l’invenzione di modelli di statue con anima lignea, una tecnica messa in atto dallo scultore già all’età di diciannove anni quando, a Siena, per le esequie di Giovanni d’Azzo Ubaldini, realizzò la statua equestre del condottiero, facendo «l’ossa del cavallo e della figura di pezzi di legno e di piane confitti insieme, e sopra messo terra mescolata con cimatura di panno lino e, pasta e colla»XIII.

Le sperimentazioni effettuate dai maestri fiorentini del Quattrocento non furono fatti isolati in quanto anche in altre aree geografiche dell’Italia, dal centro al settentrione, si assistette alla circolazione di opere in cui sia materiali diversi, sia scultura e pittura si combinavano in varie soluzioni e modalità per raggiungere risultati sempre più vari.

In area lombarda, in provincia di Sondrio, a Mazzo nell’oratorio dei Santi Carlo e Ambrogio e a Bormio nel Museo Civico si trovano due rarissimi trittici quasi identici che raffigurano la Madonna col Bambino tra le Sante Lucia e Margherita, della fine del secolo XV, in tela gessata e dipinta.

Nell'Italia centrale, a Sansepolcro, la città di Piero della Francesca, nel secolo XVI era attivo un intagliatore, Romano Alberti, detto Nero Alberti da Sansepolcro (Sansepolcro, 1502 1568), che «fece della polimatericità la sua specializzazione, il legno è di solito struttura portante, ma la forma è definita da un materiale plastico. Il tutto veniva poi abbigliato con veri abiti»XIV.

      

 

 

Fig 7 - Romano Alberti, 1528, San Rocco, Umber-tide, Museo S. Croce

 

Appartenente ad una dinastia di intagliatori, oltre alla bottega nella sua città, aprì una succursale a Roma producendo statue lignee, soffitti a cassettoni, apparati effimeri per feste patronali, e manufatti polimaterici, realizzati con diversi materiali poveri; erano opere costituite da un'anima di legno, generalmente pioppo, attorno alla quale gli aiutanti del maestro di bottega avvolgevano stracci, stoppa e cordame, dando al tutto un aspetto antropomorfo. I maestri più esperti o il capobottega, infine, vi applicavano strati sempre più sottili di gesso, modellando la statua nella sua forma finale. Il manufatto, a questo punto, poteva essere colorato e decorato con monili, pietre e rivestito di panni imbevuti di colla. Con questa tecnica Nero eseguì, soprattutto per la provincia, un gran numero di statue di Santi (Fig. 7). Altra tipologia di statua tipica della bottega fu quella dei « manichini da vestire», cioè realizzati con arti snodabili in modo da rendere più agevole la vestizione con abiti sontuosi e stoffe pregiate: ne fanno parte le Madonne e i Bambini Santi, anche detti Santi in casa, in genere un Bambin Gesù o un San Giovannino, destinati alla devozione dei fedeli.

La TC elicoidale, cui sono state sottoposte alcune delle opere di Nero, in occasione della mostra tenutasi ad Umbertide nel 2005, ha rivelato che «l’impalcatura delle sculture è composta da una struttura lignea, il cui asse portante è un montante che si estende verticalmente, arrivando in alto all’interno del capo e in basso fino alla regione pelvica: all’altezza delle spalle si incastra una traversa lignea, consolidata nel punto dell’incastro da un grosso chiodo metallico. Alle estremità di questa traversa sono fissate, mediante chiodi, due ulteriori strutture lignee che costituiscono l’ossatura delle braccia, mentre in basso sono fissati al montante due settori lignei che corrispondono agli arti inferiori…. L’intera struttura è ancorata al basamento grazie a staffe metalliche che ne assicurano la tenuta. Tra il guscio gessoso di superficie e l’anima lignea, la statua è poi riempita da una notevole quantità di stoppa di canapa che occupa tutto lo spazio vuoto tra lo scheletro e il rivestimento esterno. Per realizzare le parti ornamentali, come i calzari o le brache, si utilizzava tela impregnata di gesso e colla, forse colla di amido, che, essendo meno liquida della colla animale, era più adatta in fase di modellazione»XV.

Il modo di creare l’ossatura interna è paragonabile a quello del «legno tela e colla», con la variante per il riempimento che a Trapani è di sughero o talvolta di paglia ricoperta da fasce di telaXVI.

Altro esempio di scultura polimaterica da ben considerare, nella ricerca delle origini del «legno tela e colla», sono gli ex voto conservati nel Santuario della Beata Vergine delle Grazie a Curtatone, nei pressi di MantovaXVII; si tratta di opere inserite in una impalcatura lignea, unica al mondo, ideata dal frate francescano Giovan Francesco da Acquanegra nel 1517. All’interno di nicchie trovano posto le statue polimateriche - di legno, stoffa, cartapesta e cera - che rappresentano sia umili pellegrini che personaggi famosi, imploranti grazie o testimoni di grazie ricevute.


Fig 8 - Fra Giovan Francesco da Acquanegra (attr.), sec. XVI, Figura maschile orante, Curtatone (Mantova), Santuario della Beata Vergine delle Grazie

Sottoposte a restauro nel 2000, al di sotto di abiti ottocenteschi, le sculture hanno rivelato panneggi originari in tela di lino, gessata e dipinta, caratterizzati da una policromia dai colori vivaci (Fig. 8).

In alcuni casi mani e viso (e altre parti del corpo) sono in legno intagliato e si presentano come elementi separati, connessi poi al corpo tramite cuciture o incollaggio: rami non sgrossati fanno da sostegno internoXVIII.

Il confronto tra i procedimenti tecnici usati nel Cinquecento da Nero Alberti e dall’autore o dagli autori delle opere polimateriche di Curtatone rimanda inequivocabilmente alla tecnica trapanese.

Si è sostenuto in passato che l’inventore di essa fosse stato Giovanni Matera il quale creava naturalistiche statuine da presepe, in legno di tiglio per le parti anatomiche in vista, in tela e colla per i vestiti, legno e sughero per lo scheletro (Fig. 9).

 


Fig 9 - Giovanni Matera, fine sec. XVII – inizi XVIII, Venditrice di uova, Trapani, Museo Interdisciplinare Regionale “A. Pepoli”

 

Antonio Uccello nel 1979 considerava Matera «il caposcuola di una ricerca espressiva che in sé trova sporadiche applicazioni anche in precedenza, e raggiunge ora, nella scultura di piccolo formato, quei livelli che nella stessa epoca sono solo riscontrabili nella ceroplastica»XIX.

Conosciuto ai suoi tempi come mastru Giuvanni lu pasturaru, il Matera fu un maestro di rango più elevato rispetto a tanti altri che in Sicilia realizzavano singoli pastori, in quanto egli eseguiva presepi completi in «legno tela e colla», destinati alle chiese e alle case di ricchi privati.

Dando credito all’ipotesi che i primi gruppi dei Misteri, realizzati dal 1612 in poi, furono eseguiti con la tecnica polimaterica, si deduce che Giovanni Matera non può esserne stato l’inventore, essendo nato nel 1653; si può tuttavia riconoscere al maestro il merito di avere trasferito il procedimento tecnico dalla statuaria processionale alla scultura «in piccolo».

Né certamente è un demerito per i nostri valenti artigiani trapanesi l’aver fatto tesoro di esperienze tecniche già sperimentate in altre zone d’Italia, anzi va ad essi riconosciuto di aver saputo rielaborare dei procedimenti operativi e nobilitare dei materiali poveri, assemblandoli, manipolandoli, modellandoli e colorandoli, fino a far loro assumere un aspetto incredibilmente verosimigliante.

Veicolo conduttore di esperienze e conoscenze nell’ambito della scultura, furono senza dubbio gli ordini religiosi: i Francescani e i Gesuiti.

Va ricordato che a Trapani, fin dalla seconda metà del XVI secolo, presso il convento dei frati Cappuccini era aperta una scuola per intagliatori e scultori, frequentata da molti giovani.

Stampe devozionali, incisioni di opere di grandi artisti, repertori iconografici, testi vari, venivano poi diffusi e veicolati dai Gesuiti, ed erano presenti anche nella scuola e nei laboratori francescani.

A scegliere la tecnica quasi certamente furono gli artisti che nella ricerca di un tipo di scultura processionale, rispondente alle finalità devozionali della committenza che richiedeva opere di livello artistico meno elevato, oltre che costi e tempi di lavorazione contenuti, vollero imitare quella lignea, utilizzando materiali poveri.

Quasi sicuramente sulla scelta della rappresentazione scultorea e sull’aspetto scenografico, influì la presenza in Sicilia degli Spagnoli, mentre sull’aspetto religioso influirono i Gesuiti che nel loro programma di catechesi avevano inserita la missione penitenziale con lo scopo di evangelizzare i ceti più umili, anche attraverso elementi spettacolari quali processioni e cerimonie atte a suscitare la pietà religiosa e la compunzione.

Se vogliamo poi ricercare le fonti stilistiche alle quali gli scultori attinsero, dobbiamo in primo luogo considerare l’arte devozionale barocca, ma anche quel filone della pittura seicentesca, di ambito naturalistico, che ebbe in Caravaggio il degno rappresentante, senza sottovalutare la forte suggestione in seguito suscitata sugli artisti siciliani dei secoli XVII e XVIII dalla vasta produzione di opere lignee di fra Umile da Petralia, la cui «opera si inserisce bene nel clima della controriforma»XX. Sempre e comunque è possibile individuare nei gruppi processionali trapanesi, come persistenti, i caratteri di un’arte devozionale che, con evidente teatralità, ha l’intento di suscitare pietà e coinvolgimento attraverso le componenti realistiche e drammatiche.

Sulla storia dei Misteri, lunga quattrocento anni, esiste un’ampia letteratura nella quale sono confluiti, dall’Ottocento fino ai nostri giorni, numerosi scritti che hanno privilegiato l’aspetto storico-esegetico e etnico-antropologico, lasciando in ombra quello tecnico e stilistico e talvolta reputando le statue sculture in legno o in cartapesta.

 


Fig. 10 – Bottega trapanese, sec. XVIII, Sacra Famiglia, Trapani, Collezione Cesare Pastore

 

Anche se i nomi dei maestri dei primi del Seicento sfuggono all’indagine, è importante sottolineare che molti furono gli artisti che si dedicarono a questo tipo di plastica, per lungo tempo considerata «minore» e popolare: dal già citato Giovanni Matera tra il XVII e il XVIII secolo, ai Ciotta, a Giacomo e Giuseppe Tartaglio, Antonio, Francesco e Domenico Nolfo, Baldassare Pisciotta, Andrea e Alberto Tipa, nel XVIII, fino ad arrivare a Domenico Li Muli nel Novecento.

All’interno dei loro attrezzati laboratori-atelier, oltre che gruppi scultorei o semplici figurine da presepe si creavano anche statue di Santi, di Maria, Giuseppe e del Bambino Gesù (Fig. 10).

Va infine evidenziato, come elemento peculiare, che il loro era un lavoro manuale fatto di collaborazione fra più persone, cui ciascuno contribuiva, per la sua parte, al raggiungimento del risultato finale di un’opera tridimensionale, a tutto tondo, realizzata con materiali poveri: un lavoro di scultura, di assemblaggio, di manipolazione e colorazione, che partendo da una struttura interna di sostegno, produceva esemplari unici di sicuro impatto narrativo, espressivo e devozionale: sculture «povere» ma fortemente suggestive!

 

* Relazione tenuta al Convegno “Le processioni della Settimana Santa nel bacino del Mediterraneo” , in occasione delle celebrazioni per i Quattrocento anni di affidamento del gruppo sacro l’Ascesa al Calvario, Trapani 25 marzo 2012, Museo Diocesano, Polo espositivo di S. Agostino.

 

NOTE

I AST (Archivio di Stato Trapani),15 ottobre 1769, not. B. Renda.

II Alcune statue dei secoli XVII e XVIII presentano come materiale riempitivo, in alternativa al sughero, paglia, legata agli elementi lignei dello scheletro e trattenuta da strisce di tela. Cfr. B. Figuccio, I Dolenti “Maria e l’Apostolo Giovanni” in Legno tela &… 2011, pp. 67-69.

III Supra nota 1.

IV AST, 16 febbraio 1764, not. D. Adragna, trascritto da S. Accardi in www.processionemisteri.it

V AST, atto 17 luglio 1766, not. D. Adragna, trascritto da S. Accardi in www.

VI AST, 20 febbraio 1772, not. M. Rosselli, trascritto da S. Accardi in www.

VII Supra nota 1.

VIII B. Figuccio, La scultura polimaterica trapanese e la tecnica di esecuzione. in “Legno tela &…” 2011, pp. 47-54.

IX AST, 8 agosto 1765, not. A. Maurici, trascritto in Serraino, La processione…1980, all. IX, e in Accardi www.

X Ibidem.

XI Per l’attribuzione al Renda si veda: S. Accardi in www. Su Nicola Renda si veda: L. Novara, Renda (di) in “Materiali preziosi dalla terra e dal mare nell’arte trapanese e della Sicilia occidentale tra il XVIII e il XIX secolo”, catalogo della mostra (Trapani) a cura di M. C. Di Natale, Palermo 2003, p. 392. Eadem, La chiesa e il collegio. Dal documento al monumento, in “A. Buscaino, I Gesuiti di Trapani”, Trapani 2006, pp. 280.

XII G. Vasari, Le Vite de’ più eccellenti pittori scultori ed architettori (Firenze 1568), a cura di G. Milanesi, Firenze 1878-1885, rist. Firenze 1906. Su Sansovino e la cartapesta si veda: B. Boucher, The Sculpture of Jacopo Sansovino, I, New Haven-London 1991, pp.107-110; II, pp.346-351; M. Bonelli - M.G. Vaccari, “Il gran quadro di basso rilievo…”. Un ritorno in Jacopo Sansovino; in “Jacopo Sansovino. La Madonna cartapesta del Bargello. Esemplari a confronto, catalogo della mostra (Firenze) a cura di M. G. Vaccari, Roma 2006, pp.25-37. 

XIII G. Vasari, Le Vite…, 1568, ed. 1906, II, pp.110-111. Vasari ci informa inoltre che anche le sculture in cera erano fatte con «l’ossatura di legname […] ed intessuta di canne spaccate» (G. Vasari, Le Vite…, 1568, ed. 1906, I, pp.153-154. Nel 1802 lo scultore pistoiese Francesco Carradori, nell’Introduzione elementare per gli studiosi della scultura, (a cura di G. C. Sciolla, Treviso 1979), attingendo a fonti precedenti, darà le istruzioni per realizzare l’ossatura interna di un modello di statua, così precisando: «Per fare questa ossatura, che ha da partire dalla pianta, o zoccolo sul quale deve posare la figura, conviene fissare in esso zoccolo o pianta un palo ben forte, che giunga a seconda dell’azione di detta figura, fino alla sommità delle spalle per la preparazione delle spalle. Quindi vi si porrà un regolo a guisa di croce, che comporti la proporzione della larghezza dall’una all’altra spalla. Altro simile regolo traverso si porrà dall’uno all’altro fianco, a seconda del moto che dovrà avere la figura medesima. A queste due traverse si appoggeranno rispettivamente le ossature delle braccia, e delle gambe …».  

XIV R. Casciaro, Tecnica e artificio: racconti di cartapesta nella storia dell’arte italiana, in “La scultura in cartapesta Sansovino, Bernini e i maestri leccesi tra tecnica e artificio”, catalogo della mostra a cura del Museo Diocesano di Milano, Milano 2008, p.19. 

XV R. Casciaro – C. Galassi, Cartapesta e scultura polimaterica nell’Italia del Rinascimento, in “La scultura in cartapesta …” 2008, p.53. Si veda inoltre: Sculture “da vestire”. Nero Alberti di Sansepolcro e la produzione di manichini lignei in una bottega del Cinquecento, catalogo della mostra a cura di G. Galassi, Perugia 2005. 

XVI Supra nota 4. 

XVII Mira il tuo popolo. Statue votive del Santuario di Santa Maria delle Grazie, catalogo della mostra (Mantova) a cura di M.G. Vaccari, Milano 2000. 

XVIII Sculture e manichini votivi, a grandezza naturale, con volti e mani di cera, capelli veri ed abiti in tessuto, nel ‘400 e nel ‘500 si trovavano anche nel Santuario della Santissima Annunziata di Firenze. 

XIX A. Uccello, Il presepe popolare in Sicilia, Palermo 1979 p.151. 

XX S. La Barbera, Umile da Petralia, fra’, in “L. Sarullo, Dizionario degli artisti siciliani, III Scultura”, Palermo 1994, ad vocem. 


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