ASSOCIAZIONE AMICI DEL MUSEO PEPOLI  -  Trapani

 
 
 

 

INDICE (linkabile)

   1. Introduzione

   2. Nascita del culto di santa Lucia

   3. Gli occhi e la luce nel culto di santa Lucia

   4. Devozione dei pescatori trapanesi per santa Lucia

   5. Note su alcune epigrafi già conservate nella chiesa di Santa Lucia a Trapani

   6. Osservazioni sulla chiesa di santa Lucia a Trapani

   7. Gli occhi raffigurati sulle barche e la devozione a santa Lucia

   Bibliografia

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Ritornata a Siracusa, Lucia decide di rinunziare al matrimonio e comincia a distribuire tutti i suoi beni ai poveri.  Denunciata al consolare Pascasio come cristiana dal suo stesso fidanzato, è arrestata e condotta al tribunale;

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il più antico documento autentico del culto di Lucia in Sicilia è senza dubbio l’iscrizione trovata nel 1894 da Paolo Orsi nel cimitero di San Giovanni a Siracusa, risalente agli inizi del sec. V

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il nome di Lucia evoca la luce, in quanto deriva dal latino Lùcia, femminile di Lùcius, la cui radice è lux, lucis, luce

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Una fonte d’ispirazione agiografica e un tramite culturale possibile per il riferimento agli occhi possono essere anche riconosciuti nella leggenda che vuole che una monaca si sia strappata uno o entrambi gli occhi per sottrarsi a un innamorato

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nella città di Trapani, il culto di santa Lucia ha sempre avuto significato e funzione di protezione per il mondo marinaresco

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

È da ricordare che la corporazione dei pescatori di Trapani è tra le più antiche dell’isola

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il corallo non venduto sulle banchine del porto veniva ammassato nella chiesa di Santa Lucia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sul prospetto settecentesco della chiesa di Santa Lucia o Maria SS. della Catena erano murate due epigrafi ... collocate dai pescatori di corallo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nella lapide è descritto il luogo del banco corallifero secondo direzioni per allineamento a punti di riferimento e una distanza di miglia 15 per una direzione di 320° Nord

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 è opinione abbastanza diffusa che l’Isola Grande/Lunga, o almeno una parte di essa, nella estremità settentrionale un tempo fosse collegata alla terraferma

 

 

 

 

 

A partire dalle indicazioni delle lapidi, sono state condotte alcune ricerche su come i marinai trapanesi tramandino ancora oggi le indicazioni per portarsi sui luoghi di pesca.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La raffigurazione degli occhi sulle prue delle imbarcazioni ... ha una lunga tradizione.  A partire dall’Egitto antico ...

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Vi è anzitutto la consapevolezza che ogni imbarcazione, oggi come sin dall’inizio della navigazione, è intesa dai marinai come un essere vivente, dotato di organi vitali e particolarmente degli occhi che servono per vedere la rotta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il CULTO DI SANTA LUCIA DI PESCATORI E MARINAI

 A TRAPANI TRA IL XVI E IL XVII SECOLO

Michele Giacalone

Al Museo Pepoli si conservano un pannello maiolicato con Veduta della Città di Trapani, di manifattura napoletana, risalente alla metà del XVIII secolo, ed un  significativo frammento lapideo figurato del 1673, entrambi provenienti dalla ex chiesa trapanese di Santa Lucia.

Il frammento, ritenuto disperso, era parte integrante di una lapide marmorea con testo  epigrafico, ora conservata presso la Biblioteca Fardelliana di Trapani, che oltre ad indicare gli orientamenti di culto dei pescatori e dei marinai trapanesi,  fornisce una straordinaria evidenza di carta di navigazione lungo la costiera trapanese, con corretta indicazione delle distanze e dei percorsi, e precisi rinvii geomorfologici e toponomastici.

Va  al Dott. Michele Giacalone il merito di avere ritrovato il frammento presso il museo Pepoli e  di avere tracciato la storia del culto di Santa Lucia a Trapani . Della lapide figurata egli illustra, da un lato, il contesto di appartenenza, la chiesa di Santa Lucia, nella sua evoluzione storica nel tessuto urbano; dall’altro mette in evidenza la rilevanza storico-sociale e storico-religiosa della lapide essendo essa espressione delle devozionalità dei ceti dei pescatori e dei marinai trapanesi che la vollero a documento di una raccolta di corallo particolarmente fortunata .

Il testo che qui si pubblica è tratto dai Quaderni di Scienza della Conservazione - Dipartimento di Storie e Metodi per la Conservazione dei Beni Culturali,  Alma Mater Studiorum Università di Bologna (sede di Ravenna) [n.d.r.]

 

1. Introduzione

A Trapani il culto di santa Lucia fu praticato soprattutto dai pescatori(1) in quanto la santa non sembra avere, in altre società e altri ambiti cristiani, una relazione particolare con il mondo nautico. Per affrontare il problema, si fa una breve introduzione sulle origini del culto della santa in Sicilia e su alcune delle caratteristiche del culto a Trapani.

 

2. Nascita del culto di santa Lucia

La devozione per santa Lucia martire nasce nel IV secolo, sviluppandosi inizialmente a Siracusa, la città natale della santa(2).

La più antica tra le fonti letterarie che la concernono è la passio greca composta tra i secoli V e VI (3); una seconda passio, redatta in latino tra il VI e il VII secolo(4), è quella che ha avuto maggiore diffusione; un’altra, una passio in greco risalente al IX secolo, oggi nota grazie all’edizione critica di santa Costanza (1959) e prima poco conosciuta, non ha avuto larga diffusione, ma ha un grande valore storico per la tradizione luciana(5).

Secondo i testi di tutte le passiones, Lucia è una giovane e ricca siracusana, già fidanzata ad un suo concittadino, che si reca in pellegrinaggio a Catania al sepolcro di sant’Agata (martire intorno al 256), la cui fama è già diffusa per tutta la Sicilia, per implorare la guarigione della madre Eutichia, da tempo affetta da un ininterrotto flusso mestruale.

Sant’Agata, apparsa in sogno alla fanciulla siracusana assopita presso il suo sepolcro, secondo il rituale antico della incubatio, le annuncia la guarigione della madre, ottenuta proprio per i meriti di Lucia in quanto virgo Deo devota, come Agata la chiama nella Passio latina, consacrandone così la castità a Cristo. È ancora la martire catanese a predire, durante la visione, la futura gloria di Lucia, associandola alla propria e facendo di Lucia la protettrice di Siracusa come ella stessa lo è di Catania. Ritornata a Siracusa, Lucia decide di rinunziare al matrimonio e comincia a distribuire tutti i suoi beni ai poveri.  Denunciata al consolare Pascasio come cristiana dal suo stesso fidanzato, è arrestata e condotta al tribunale; le lusinghe e le minacce del giudice non riescono a farla recedere dal suo proposito e dalla sua fede, per cui Pascasio ordina che sia portata in un lupanare; ma quando i soldati tentano di condurla via la trovano inamovibile come una roccia, né riescono a smuoverla una coppia di buoi e un getto di pece bollente.

Infine, condannata a morte, ha il tempo di ricevere l’Eucarestia e preannunciare la morte dell’imperatore e la futura pace per la Chiesa. Sul suo sepolcro, dicono le passiones, viene poi edificata una chiesa che diviene ben presto meta di pellegrinaggi.                          

L’area di diffusione delle due redazioni, quella greca più antica e quella latina, appare ampia e abbastanza ben definita. Le fonti agiografiche occidentali più antiche vanno dalla rielaborazione della passio in versi e in prosa, di Aldelmo, tra VII e VIII secolo (6), agli Antifonari dell’Ufficio, ai résumés contenuti nei martirologi storici di età carolingia, fino alle passiones metriche medievali e alle notizie della Legenda aurea, fonti tutte sostanzialmente costruite a partire dalla redazione latina.

In entrambe le versioni della passio, greca e latina, si trova per Lucia l’indicazione del dies natalis al 13 dicembre e della città, Siracusa, in cui Lucia subì il martirio; ed è attestato ripetutamente lo stretto legame tra le due martiri siciliane Agata e Lucia.

È da notare poi che nel Martirologio Geronimiano santa Lucia si trova anche commemorata al 6 febbraio, probabilmente in rapporto alla commemorazione di Agata, che è ricordata il giorno 5 (7).

Non è possibile dire se le due date di dicembre e febbraio siano per un certo tempo coesistite o che rapporto ci sia tra le due commemorazioni; né quando la data della festa della martire siracusana si sia stabilizzata al 13 dicembre.

La connessione tra le due sante Lucia e Agata è testimoniata da vari luoghi dei testi agiografici: Lucia, prima di ricevere il martirio, ripete quasi le parole rivoltele da Agata all’inizio della sua storia, sottolineando ancora una volta non solo l’associazione Agata-Catania, Lucia-Siracusa, ma legando anche la propria santità a quella di Agata (8). La passio, nelle due versioni greca e latina, pare quindi evidenziare una sorta di dipendenza della martire siracusana da quella catanese, dal momento che è quest’ultima a garantirne e quasi ad autorizzarne la santità (9).

Tale rapporto di dipendenza può apparire strano se si pensa che era certo la sede episcopale di Siracusa a godere di maggiore autorità e prestigio rispetto a quella catanese nel V secolo, il tempo a cui probabilmente risale la redazione greca della passio. Poiché il culto di Agata si era allora già diffuso sia in Sicilia sia fuori dell’isola, l’associazione Agata-Lucia, così insistentemente sottolineata nel testo letterario, si può leggere come indizio della volontà di promuovere il culto della martire siracusana sostenendolo con quello, ormai consolidato, di Agata.

Il più antico documento autentico del culto di Lucia in Sicilia è senza dubbio l’iscrizione trovata nel 1894 da Paolo Orsi nel cimitero di San Giovanni a Siracusa, risalente agli inizi del sec. V, in cui si parla di una Euskia morta nella festa di Lucia (10).

La prima sicura attestazione della devozione per Lucia fuori della Sicilia è la sua presenza nei mosaici ravennati, in quella che è oggi la chiesa di Sant’Apollinare Nuovo (VI secolo), nella teoria delle vergini martiri (11).

Alla fine del sec. VI, nella stessa Siracusa, esisteva un monastero a lei dedicato, ricordato in una lettera di san Gregorio Magno (12) e del quale fu abate più tardi il futuro vescovo Zosimo.

Il culto della santa fin dal sec. VI-VII fu introdotto anche a Roma: nel Liber Pontificalis, nella biografia di Leone III, infatti, si parla di un oratorio di Santa Lucia come già esistente al tempo di san Gregorio Magno (13). La più antica chiesa dedicata a Lucia in Roma fu eretta da Papa Onorio I (625-38), del quale il Liber Pontificalis attesta: «fecit ecclesiam beatae Luciae in urbe Roma, iuxta sanctum Silvestrum, quam et dedicavit et dona multa obtulit» (è l’odierna Santa Lucia in Selce) (14).

Sia il culto tributato a Lucia, sia le conoscenze della passio, sono attestati, allo stato attuale delle nostre conoscenze, in Occidente prima che in Oriente. Le fonti liturgiche bizantine li conoscono infatti soltanto a partire dal IX sec. (15). In Occidente il culto, attestato già prima dell’età di Gregorio Magno, nella città siciliana in cui ebbe origine e in alcune località che con la Sicilia avevano rapporti diretti come Ravenna e l’Africa, acquista un rilievo e una risonanza “universale” solo in seguito all’inserimento del nome della martire nel Nobis quoque e all’introduzione della messa in suo onore nei libri liturgici propri della liturgia papale.

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3. Gli occhi e la luce nel culto di santa Lucia

Il nome di Lucia evoca la luce, in quanto deriva dal latino Lùcia, femminile di Lùcius, la cui radice è lux, lucis, luce: significa originariamente “nata nelle prime ore del mattino”, oppure “durante il giorno”. Tradotto nel tardo greco in Lukia, venne a poco a poco a significare nell’ambiente cristiano “segno e promessa di luce spirituale” (16).

In nessuna delle fonti che si sono citate si fa riferimento agli occhi in rapporto alla santa, benché uno dei suoi attributi principali, nei testi iconografici come in quelli agiografici meno recenti, cioè a partire dal XIV-XV secolo e poi fino ai giorni nostri, siano proprio gli occhi, che si vogliono strappati e poi risanati: di qui il ricorso preferenziale alla martire siracusana come protettrice della vista.

Nell’interpretazione degli studiosi, questo pur tardivo emergere per Lucia dell’attributo degli occhi sarebbe stato originato dal nome stesso della martire, divenuto un segno e una promessa di “luce”: la luce materiale, la luce della lampada, come anche nella simbologia dei paesi nordici, il luminoso annuncio della fine delle tenebre invernali, l’avviso di giorni più chiari, dono di Dio alla Terra (17).

Del resto, lo stesso Paolo Orsi, scopritore ed editore della notissima epigrafe di Euskia (18), ipotizzò a suo tempo, che la santa potesse essere invocata come protettrice della vista già tra IV e V secolo (19. La sua ipotesi si fondava sull’antitesi tra il nome di Euskia (ombra) e Lucia (luce) (20).

Euskia, irreprensibile,

vissuta buona e pura per anni circa venticinque,

morì nella festa della mia signora Lucia,

per la quale non vi ha elogio più degno;

(fu) cristiana, fedele,

perfetta, grata al suo marito

di molta gratitudine (molto meritevole al suo marito)” (21). 

Una fonte d’ispirazione agiografica e un tramite culturale possibile per il riferimento agli occhi possono essere anche riconosciuti nella leggenda che vuole che una monaca si sia strappata uno o entrambi gli occhi per sottrarsi a un innamorato, leggenda presente in un vasto numero di racconti edificanti, dalla letteratura buddista alle leggende in volgare italiano.

L’iconografia si è fatta tramite dell’assoluto leggendario proponendo, in una grandissima parte delle raffigurazioni di santa Lucia offerente gli occhi in un piatto o in un calice (22).

Conviene notare, tuttavia, che soltanto in pochi casi l’attributo degli occhi, quando presente, è il solo prescelto per l’immagine di santa Lucia, essendo di solito questa corredata di altri oggetti simbolici, quali la lampada, la spada, la palma del martirio.

Ma l’attributo non si incontra, come già detto, prima del XIV secolo, né a Sant’Apollinare Nuovo di Ravenna (sec. VI), né nelle miniature del Menologio di Basilio II (sec. X), né negli affreschi di Sant’Elia di Nepi nel Lazio (sec. XI), né nella Cappella  Palatina di Palermo (sec. XII), né nella cripta di San Marciano a Siracusa (sec. XII), né nel Passionario di Stoccarda (sec. XII), né ancora nel mosaico di Santa Maria Maggiore in Roma (sec. XIII) (23).

Figura 1. Particolare immagine di santa Lucia sul pilastrino sinistro del trittico del «Maestro del Polittico di Trapani» conservato al MuseoAbatellis di Palermo (XIV-XV secolo).

Alcune innovazioni iconografiche le troviamo a partire dalla metà del XIV secolo, quando Pietro Lorenzetti, in un dipinto della Chiesa di Santa Lucia delle Rovinate in Firenze, raffigura la santa con in mano una lampada con occhi stilizzati dipinti su questa (24).

Il motivo degli occhi su un piatto retto in mano dalla santa non è attestato, tuttavia, con certezza prima degli inizi del XV secolo. Una delle prime opere in cui si evidenzia una tale nuova iconografia è l’immagine di santa Lucia (25) offerente gli occhi nel piattino, nella postura molto simile a quella di sant’Agata offerente le

mammelle, sul pilastrino sinistro del Trittico del “Maestro del Polittico di Trapani” conservato nella Galleria regionale di Palazzo Abatellis di Palermo (fig. 1). Il trittico è databile, appunto, tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo ed è attribuito ad un pittore anonimo siciliano, ritenuto di ambito trapanese (26).

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4. Devozione dei pescatori trapanesi per santa Lucia

Nella città di Trapani, il culto di santa Lucia ha sempre avuto significato e funzione di protezione per il mondo marinaresco, sin da quando se ne ha notizia. Nel centro storico di Trapani si trovano due chiese con il titolo di Santa Lucia. La chiesa con tale titolo che oggi è più nota sorge in Piazza Gen. Scio; edificata dai Cappuccini nel 1672 (27), ospitava la statua lignea della santa, opera dello scultore Giuseppe Tartaglia (28), e fino a pochi decenni fa vi si svolgevano le feste di santa Lucia. Attualmente non è agibile, e la statua si trova presso la vicina chiesa di San Francesco d’Assisi, dove è ancora molto venerata soprattutto dai pescatori che abitano il quartiere Palazzo, oggi meglio conosciuto come quartiere San Francesco. In realtà la più antica chiesa di Santa Lucia a Trapani era collocata subito entro le mura, sull’estrema punta occidentale della città antica, presso il Convento di Sant’Anna (29).

Tale chiesa, anch’essa chiusa al culto sin dal 1945 (30), era anticamente nota sia come chiesa di Santa Lucia sia come chiesa di Maria SS. della Catena (con riferimento alle strutture portuali) (31), collegata alla “Fratellanza dei pescatori di corallo” nel 1419 (32). Era attigua al Convento di Sant’ Anna e fu costruita nel XIV secolo dai pescatori del “Palazzo” (Piscatores Marinae Palatii) (33). La comunità dei pescatori trapanesi si divideva infatti in due gruppi: uno del quartiere Palazzo, con sede appunto nella chiesa di Santa Lucia, e un altro del quartiere Casalicchio, con sede nella chiesa di Santa Maria della Grazie (fig. 2).

Figura 2. Mappa del centro urbano di Trapani. Modello per l’unione dei fogli rettangolari, Trapani 1905; Archivio di Stato Trapani,Catasto Urbano, Scaff. II - F.1. Ubicazione delle chiese e dei quartieri: 1) Quartiere Casalicchio2) Quartiere di Mezzo3) Quartiere Rua Nova4) Quartiere S. Lorenzo5) Quartiere S. Francesco. Figura 2. Mappa del centro urbano di Trapani. Modello per l’unione dei fogli rettangolari, Trapani 1905; Archivio di Stato Trapani,Catasto Urbano, Scaff. II - F.1. Ubicazione delle chiese e dei quartieri: 1) Quartiere Casalicchio2) Quartiere di Mezzo3) Quartiere Rua Nova4) Quartiere S. Lorenzo5) Quartiere S. Francesco.

È da ricordare che la corporazione dei pescatori di Trapani è tra le più antiche dell’isola, ed è menzionata in documenti che, a partire dal XIV secolo, attestano i privilegi concessi alla corporazione stessa, riuniti in un manoscritto sui privilegi dei pescatori, oggi pubblicato (34). I pescatori erano concentrati inizialmente nel quartiere del Casalicchio, dove si trovava l’antica chiesa in cui allora si riunivano, Santa Maria delle Grazie presso la Porta dei Pescatori; in seguito all’espansione verso occidente della città e all’incremento demografico, nel XV secolo, un nucleo consistente di pescatori si addensò attorno alla chiesa di Santa Lucia (o Santa Maria della Catena) costruita intorno al Trecento all’estremità ovest della penisola, che divenne sede ufficiale della comunità dei pescatori; dal XVI secolo la corporazione prese a gestire la pesca del corallo che aveva acquistato grande importanza per la marineria trapanese (35).

Secondo una notizia riportata da G. Polizzi (36), già nel 1472 i pescatori trapanesi godevano di privilegi, precisamente riguardo alla raccolta del corallo e alle attività commerciali connesse (37).

Certamente i pescatori del quartiere Palazzo divennero sempre più autonomi rispetto agli altri, proprio in quanto si dedicarono principalmente alla pesca del corallo, che consentiva un guadagno sicuro collegato all’incremento degli scambi commerciali di oggetti di lusso (38).

Il corallo non venduto sulle banchine del porto veniva ammassato nella chiesa di Santa Lucia e i compratori trapanesi e forestieri potevano scegliere e comprare tra le varie merci (39).

 

 

 

 

 

 

 

Figura 3. Restituzione grafica del Portale della chiesa di Santa Lucia del XIV sec., nella sua configurazione barocca e confronti tra i disegni del Polizzi, la lapide conservata alla Biblioteca Fardelliana e la parte mancante conservata al Museo Pepoli (disegno eseguito dall’autore).

Al Museo Pepoli di Trapani è conservato un pannello, Veduta della Città di Trapani, realizzato con mattonelle di maiolica, delle dimensioni di cm 130 x 130, di probabile manifattura napoletana e risalente alla metà del XVIII secolo. Esso proviene appunto dalla chiesa di Santa Lucia, e vi sono raffigurate barche coralline denominate ligudelli (40), munite di ngegna (41) per la raccolta del corallo. Per la particolarità della veduta si può proporre l’ipotesi che il pannello facesse parte dell’arredo della chiesa e fosse collocato davanti all’altare (42).

La presenza di una chiesa intitolata alla santa nella punta più occidentale della penisola, nel quartiere nuovo costruito alla fine del XIII secolo dagli Aragonesi, consente di istituire un rapporto tra la protezione di santa Lucia, il porto e le attività dei pescatori: in una città, Trapani, che dal XIII e XIV secolo conobbe un forte sviluppo economico e commerciale, grazie ai contatti con gli altri mercati del Mediterraneo e alla sua favorevole posizione tra le rotte marittime che collegavano le città spagnole con quelle della costa Nord Africana, del Tirreno e dell’Egeo.

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5. Note su alcune epigrafi già conservate nella chiesa di Santa Lucia a Trapani

Sul prospetto settecentesco della chiesa di Santa Lucia o Maria SS. della Catena erano murate due epigrafi con iscrizioni e decorazioni figurate (43), collocate dai pescatori di corallo di Santa Lucia, che abitavano nella strada “dei Rais”, oggi denominata via Corallai, per ricordare il rinvenimento di importanti banchi coralliferi, rispettivamente datate al 1651 e al 1673.

Di tali due epigrafi, si conserva soltanto quella del 1673, di cui la parte contenente l’iscrizione si trova attualmente presso la Biblioteca Fardelliana, all’ingresso; mentre la parte con decorazione figurata a commento dell’iscrizione stessa è stata recentemente da noi riconosciuta presso il Museo Pepoli di Trapani. Dell’epigrafe del 1651 si ha solo notizia, da una copia effettuata dal Polizzi, che aveva trascritto e disegnato entrambe le epigrafi (fig. 3) (44).

Si riportano i testi:

Figura 4. Apografo di G. Polizzi della lapide del 1651.

Lapide 1 (fig. 4)

L’ANNO DEL SIGNORE MDCLI / LI PESCATORI DI TRAPANI RITROVARONO / UNA SICHA DI CORALLO QVINDECI MIGLIA/ PER MAISTRO DI LO CAPO GROSSO DI LEVAN / SO PER LIBECCIO LA CANALATA IN CIMA DELLA / TORRE DI MARETTIMO: PER SCIROCCO IL CAPO / GROSSO DI LEVANSO E LA CAVA DI S. TEODO / RO: E PER LEVANTE IL BALATICCIO DI BONA / GIA E LE COLLINE DELLA MONTAGNA DI BAIDA / CHIAMATE LI PAGLIARETTI: E LI MEDESIMI FE / CERO QVESTO SCRITTO MARMOREO A ME / MORIA, E BENEFITIO DELLI LORO POSTERI/ S. LVCIA

 

Figura 5. Apografo di G. Polizzi della lapide del 1673.

Figura 6. Lapide proveniente dalla chiesa di Santa Lucia, conservata presso la Biblioteca Fardelliana di Trapani.

Lapide 2 (figg. 5 e 6)

NELL’ANNO DEL SIGNORE MDCLXXIII / TROVARONO LI PESCATORI DI QVESTA INVIT / TISSIMA45 CITTÀ DI TRAPANI NELLI MARI DI / SANTA CROCE VNA SECCHA CINQVE MIGLIA DIS / TANTE DALLE TRE TORRI, ET VSCENDOSI PER / QVINDECI MIGLIA VERSO MEZZO GIORNO / COSÌ DA LEVANTE, COME DA PONENTE SI / RITROVA COPIOSISSIMA QVANTITÀ DI CORALLI / PER LORO POSTERI S. LVCIA.

Le indicazioni sembrano riferirsi a un dono ricevuto dalla divinità, un dono così grande che gli autori del rinvenimento reputarono necessario fissarne la memoria per gli altri pescatori della loro corporazione e per tutta la cittadinanza. Si può ipotizzare che i pescatori conoscessero bene il ciclo vitale del corallo, che è molto lento e richiede molti anni per la ricrescita dopo lo sfruttamento del banco; quindi rendere pubblica la vicenda aveva valore dedicatorio e di solenne ringraziamento alla santa, da un lato, mentre, dall’altro, le precise indicazioni sulla rotta da seguire per localizzare i banchi erano una testimonianza e forse un avvertimento per gli altri pescatori, che non avrebbero trovato più nulla nell’area indicata.

Le lapidi sono corredate da disegni ugualmente riprodotti dal Polizzi, che hanno stretto rapporto con lo scritto. Nella prima lapide, quella del 1651, nel registro superiore, da sinistra verso destra rispetto a chi guarda, si distinguono, tra mare e cielo, un barca armata a vela latina, con un albero e prua a cuneo, una croce su tre monti (46), i cui bracci sovrastano la linea dell’orizzonte, e due rami di corallo. La croce è raffigurata secondo una tipologia molto in uso in quel tempo e diffusa nel territorio trapanese; ad esempio, la si ritrova nella chiesa di San Francesco in materiale ligneo, e scolpita in pietra in dedicazioni murali, a Trapani in Piazza G. Matteotti, ad Erice in Piazza San Domenico.

Nella lapide è descritto il luogo del banco corallifero secondo direzioni per allineamento a punti di riferimento e una distanza di miglia 15 per una direzione di 320° Nord (47): “QVINDECI MIGLIA PER MAISTRO DI LO CAPO GROSSO DI LEVANSO”.

Le collinette denominate LI PAGLIARETTI DELLA MONTAGNA DI BAIDA, collimano con il BALATICCIO DI BONAGIA, oggi noto agli abitanti di Custonaci (48) come Contrada Santa Lucia e segnato sulla carta nautica “Da Capo Rama a Marsala e Isole Egadi” come i Pagliaia.

Allineando i punti di riferimento e adoperando il miglio marino in uso nel XVII sec. (49) pari a m 1.486, si può individuare, nella secca ancora oggi segnata sulla carta nautica come secca “Banco dei Pesci”, precisamente il luogo dove fu rinvenuto il banco corallifero (50).

Figura 9. Ricostruzione della lapide del 1673 ottenuta congiungendo la parte figurata del Museo Pepoli e l’iscrizione conservata presso la Biblioteca Fardelliana (disegni eseguiti dall’autore).

Quanto alla seconda lapide, quella del 1673, la parte figurata è stata da noi stessi identificata nel chiostro del Museo Pepoli di Trapani, dove il pezzo si conservava, con il numero di inventario 6236 (51).

La lapide in oggetto ha dimensioni di m 1,40 x 0,44 x 0,12 e nella scheda inventario del Museo Pepoli viene così descritta: “Lapide in pietra calcarea, senza iscrizione né data, solo porta incisa al centro una croce sul trigenio e ai lati in alto alcune torri e in basso al lato sinistro della croce un ramo di corallo e al lato destro una barchetta con due marinai e una torre con faro”. Per la tipologia, per le dimensioni e per il materiale, la si può riconoscere come la parte sin qui ritenuta mancante della lapide murata nella Biblioteca Fardelliana di Trapani. Ha dimensioni in pianta di m 1,40 x 0,75. Le torri raffigurate sono tre, e sia per la datazione52, sia per la posizione della scalinata di accesso alle torri ancora oggi confrontabile con quelle esistenti, sia per le direzioni indicate (15 miglia53 verso Mezzogiorno), possono essere riconosciute come Torre Nubia, Torre di Mezzo (detta anche Torre San Francesco o Torre Alga) e Torre San Teodoro. Il mare detto di Santa Croce è evidentemente rappresentato dalla croce che si staglia al centro del campo figurato (vedi fig. 9).

Oggi non è noto alcun toponimo sulla costa Occidentale che si possa collegare alla Santa Croce; ne esiste soltanto uno nel golfo di Catania, riportato da Filippo Geraci nel suo Portolano del XVII sec. (54) e descritto dal Massa (55) all’inizio del Settecento.

Si ritiene improbabile l’identificazione con tale luogo della Sicilia Orientale menzionato nella nostra lapide, in quanto i vari punti di riferimento elencati e la direzione della navigazione che è verso Mezzogiorno consentono piuttosto di localizzare la Santa Croce in un punto presso la secca di Marsala. Una tradizione riportata dal Massa (56) vuole che il giorno dell’Epifania, proprio presso la spiaggia di Capo Boeo di Marsala, si immergesse una croce nell’acqua e questa diventasse dolce. Ancora oggi alcuni marinai marsalesi identificano il mare di fronte a tale luogo come a Cruci, e proprio in questo tratto vi è una secca che potrebbe essere riconosciuta come quella menzionata nella lapide.

Figura 10. Spannocchi 1545. Pianta del Litorale della Sicilia Occidentale Trapani - Marsala con ubicazione delle isolette dello Stagnone: S.to Pantaleo (Mozia), Scola, S.ta Maria, una secca affiorante, Fratianni, Altavilla, Capo Delo Berone, S. Todaro e la Tonnara (Dufour1982).

Figura 11. Anonimo, secolo XVII. Particolare, stralcio della pianta dello Stagnone, con ubicazione della chiesetta del Capo di Santo Todaro (Dufour 1982).

Le informazioni trasmesse dalla lapide rivestono un’importanza notevole su un’altra zona del litorale marsalese che riguardano anche la Cava di San Teodoro. Questa zona, detta anche Stagnone, ha subìto nel tempo diverse trasformazioni; oggi vi si individuano quattro isolette: l’isola Lunga, l’isola Santa Maria, l’isola San Pantaleo o Mozia, e l’isola Scola. L’isola Lunga o isola Grande si è formata dall’insabbiamento e reinterro di piccole isolette o scogli emergenti: Altavilla, Burrone, Cerdinisi, Fratianni e San Teodoro. È difficile dire quale fosse la configurazione originaria di questo specchio d’acqua. Tuttavia è opinione abbastanza diffusa che l’Isola Grande/Lunga, o almeno una parte di essa, nella estremità settentrionale un tempo fosse collegata alla terraferma e che formasse una penisola, anticamente chiamata Aigitallos (57). Le origini della Torre di San Teodoro, o San Todaro, sono mal documentate; si sa però che nel 1272 c’era qui una delle più antiche tonnare della Sicilia occidentale (58). In una pianta dello Spannocchi, del 1545, e in quella di un Anonimo del XVII secolo59, viene segnalata la presenza di una chiesa di San Todaro oggi non più esistente, posta alla punta estrema dell’isolotto detto il Corto o il Burrone, dove forse, come suggerisce l’aghiotoponimo, si trovava un approdo anche per le galee veneziane, che venivano a caricare sabbia proprio in quel posto perché ricco di sostanze ferrose60 (figg. 10 e 11).

La denominazione in uso ancora oggi, Contrada San Teodoro, potrebbe cioè legarsi proprio a una presenza commerciale veneziana, data l’importanza a Venezia del culto di san Teodoro (in veneziano san Todaro), che ne fu forse il più antico patrono. Certo il toponimo non è da attribuire alla popolazione locale, non esistendo nessun’altra dedicazione a san Teodoro (61). Quel toponimo marinaro divenne ad ogni modo identificativo di tutta una zona del litorale marsalese ed è in uso ancora oggi, presso i marinai trapanesi e marsalesi.

A partire dalle indicazioni delle lapidi, sono state condotte alcune ricerche su come i marinai trapanesi tramandino ancora oggi le indicazioni per portarsi sui luoghi di pesca. Nella fattispecie viene preso ad esempio il punto a mare denominato Banco dei pesci (38° 04’ N; 12° 15’ E.). I pescatori più giovani, utilizzando il GPS (62), danno le coordinate marine e il toponimo del luogo in dialetto; gli anziani, invece, non solo hanno un modo di descrivere la posizione del Banco dei Pesci molto simile all’espressione riportata nella lapide (… Quindici miglia per maestro di Capo Grosso Levanzo, per Libeccio la canalata in cima della torre di Marettimo, per Scirocco Capo Grosso di Levanzo e la Cava di San Teodoro e per Levante il balaticcio di Bonagia e le colline della montagna di Baida chiamate li Pagliaretti…), ma anche parlano in particolare di una cava di San Todaro, non più in uso, in direzione della strada per Granatello (63) a sua volta altura visibile dal mare64. Certamente, nel linguaggio dei pescatori anziani, per andare al Banco dei Pesci si segue questa rotta: “Santa Caterina attimpata u secunno pizzu; Capugrosso con la cava di San Todaro e la curva du Ranateddu e Porcelli con stampa di Sant’Anna da Erice carutu di Mezziornu o Porcelli con l’Ospedale” (65). Quindi è un sistema empirico di navigazione a vista, per allineamenti e triangolazioni di punti certi e visibili (alture, palazzi, Fari, l’isolotto di Porcelli). Esso fa riferimento a luoghi e nomi conservatici dalla tradizione orale, che non subiscono la modernizzazione del toponimo: infatti viene usata ancora la designazione arcaica di cava di San Todaro con il suo colore linguistico veneziano così difficile da spiegare con sicurezza.

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Figura 12. Restituzione grafica del dado destro del portale della chiesa di Santa Lucia (disegno eseguito dall’autore).

Figura 13. Restituzione grafica dello stemma sul portale della chiesa di Santa Lucia  (disegno eseguito dall’autore)

6. Osservazioni sulla chiesa di Santa Lucia a Trapani

Della chiesa di Santa Lucia in Trapani devono essere ancora sottolineate alcune interessanti caratteristiche. Sul dado che sostiene la colonna destra del portale barocco (fig. 12)  è raffigurata una scena di pesca con alcuni marinai a bordo di una tipica barca trapanese, molto simile a quelle disegnate sulle lapidi. La raffigurazione sul dado sinistro è ormai illeggibile.

Il coronamento del portale è costituito da uno stemma (fig. 13) al cui centro è raffigurato un calice; all’interno di questo galleggiano due occhi: dall’occhio sinistro si diparte un giglio simbolo della verginità, dall’occhio destro la palma simbolo del martirio. Il calice è sormontato da una corona che trattiene il giglio e la palma, e dà profondità alla raffigurazione. All’interno della corona vi è un pugnale, la cui lama separa tra loro gli occhi; l’elsa è elaborata, e più in alto, sopra l’elsa, è posta una colomba con le ali aperte, che spicca il volo. Della colomba sono individuabili le ali, le piume del corpo, il capo inclinato, con gli occhi e il becco leggermente incisi. Dietro il capo della colomba, ed a coronamento di tutta la scena, è visibile il triangolo che simboleggia la Santissima Trinità.

All’interno dello stemma sono individuabili tracce lasciate dal lapicida che ha volutamente scalpellato alcune scene ai lati del calice (66). Inoltre è presente una piccola crepa della lunghezza di circa dieci centimetri, tra la colomba e la corona, assieme a varie erosioni (67).

L’intero stemma risulta sormontato da un’altra grande corona, e ha per base un mascherone, che a sua volta poggia su un piedistallo (fig. 14), con volute barocche, al cui centro, tra due valve di conchiglie, si trova colloca l’iscrizione dedicatoria a santa Lucia:

LVCIAE / VIRGINI ET MARTIRI / DIVAE TUTELARI / PISCATORES MDCLXXV.

Figura 14. Dedicazione a santa Lucia sulla porta della chiesa.

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7. Gli occhi raffigurati sulle barche e la devozione a santa Lucia

Se si può ipotizzare una origine cristiana della particolare devozione, sono devoti cristiani i pescatori trapanesi che ancora oggi usano ornare le proprie barche, sui masconi di prua (fig. 15), con occhi stilizzati, o con simboli che richiamano gli occhi. Così come sono cristiani anche i pescatori maltesi o siracusani, che hanno lo stesso uso, e i proprietari dei trabaccoli altoadriatici, dove sono scolpiti a rilievo occhi con grosse e lunghe ciglia. La raffigurazione degli occhi sulle prue delle imbarcazioni è del resto un’usanza che ha una lunga tradizione. A partire dall’Egitto antico la leggenda dell’udjat (occhio di Horo risanato) (68), con i suoi riflessi sull’iconografia delle imbarcazioni antico-egiziane, contribuisce a evidenziare il significato potropaico degli occhi posti a prua delle nostre barche.

Figura 16. Statua della santa conservata presso la chiesa di San Francesco d’Assisi a Trapani, particolare degli ex-voto e del laccio di conchiglie Cyprea Moneta e Turbo Rugosus

 Se non è possibile stabilire una connessione diretta tra gli “occhi” delle imbarcazioni e il culto di santa Lucia, si deve qui sottolineare come a Trapani, ancora oggi, nel giorno in cui si festeggia la santa (il 13 dicembre) (69), la statua venga esposta non solo con tutti i sui attributi martiriali (la palma, la spada, la coppa e gli occhi), ma gli ex voto in argento, raffiguranti occhi, siano avvolti da lacci intrecciati  con conchiglie, del genere Cypraea  Moneta, e Turbo Rugosus, che hanno come opercolo il cosiddetto occhio di santa Lucia (fig. 16) (70).

Si ritiene che la presenza di questo elemento marino possa essere significativo di una particolare protezione in mare. La chiesa di San Francesco d’Assisi, che custodisce la statua, ha ereditato la funzione di luogo sacro per i marinai trapanesi. Ancora oggi, i pescatori, quando ritornano dalle battute di pesca, usano come punto di riferimento tale chiesa (71), e nella processione del Venerdì Santo il Ceto dei Pescatori, nello stendardo che apre l’incedere del gruppo processionale, riporta l’immagine della Madonna di Trapani e di santa Lucia. Infatti, i pescatori, come i marinai, erano e sono devoti alla Madonna di Trapani e costruirono a loro spese una cappella all’interno del convento dell’Annunziata (72).

La presenza della rappresentazione degli occhi sulle barche non si può dunque ridurre a un semplice elemento ornamentale, ma è espressione della fede cristiana in Dio che, anche attraverso la mediazione di santa Lucia, concede protezione alla barca. Convergono in questo nesso molti elementi, in apparenza culturalmente non omologhi tra loro.

Vi è anzitutto la consapevolezza che ogni imbarcazione, oggi come sin dall’inizio della navigazione, è intesa dai marinai come un essere vivente, dotato di organi vitali e particolarmente degli occhi che servono per vedere la rotta. I racconti dei vecchi pescatori che si affidavano ai loro santi protettori e che viaggiavano su barche prive di bussola o di sistemi di orientamento moderno come il GPS, diventano simili a quelli dei marinai dei nostri giorni, quando raccontano di navigazione in mare aperto e con la strumentazione di bordo fuori uso.

Vi è poi la concezione filosofica, pagana e cristiana, dell’occhio come “finestra dell’anima”, che consente il contatto tra il mondo esterno e quello interiore, dello spirito; come organo che garantisce, anche nei Vangeli stessi, il rapporto con la certezza della storia;  come accesso alla luce che è simbolo di Dio (73).

È dunque legittima l’ipotesi che nella raffigurazione degli occhi sulle barche ci si rivolga a santa Lucia – il cui nome subito evoca la luce, e alla quale, a Trapani come altrove, continuano ad essere intitolate numerose imbarcazioni – perché interceda per una navigazione propizia. Nella lunga durata dell’orientamento devozionale è certo presente una costante antropologico-culturale; ma il riconoscimento dei caratteri specifici di singoli momenti storico-sociali attraverso la lettura delle fonti proprie, quali sono le lapidi già collocate sul prospetto della chiesa di Santa Lucia, permette di leggere in quell’orientamento momenti individuati della storia religiosa e civile di Trapani.

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NOTE

1 GIACALONE 2003.

2 AMORE 1966, col. 245; CELLETTI 1966, p. 252; MILAZZO, RIZZO NERVO 1988, p. 102.

3 BHG, 995-996; cit. in AMORE 1966, col. 244.

4 BHL, 4992-5003; cit. in AMORE 1966, col. 245.

5 BHG, 995d; COSTANZA 1957, cit. in SARDELLA 1988, p. 137.

6 MILAZZO, RIZZO NERVO 1988, p. 102.

7 MILAZZO, RIZZO NERVO 1988, cit.

8 MILAZZO, RIZZO NERVO 1988, cit.

9 BARRECA 1902, p. 1.3.

10 ORSI 1895.

11 MILAZZO, RIZZO NERVO 1988, cit.

12 Reg. Epist. VII, 36, cit. in AMORE 1966.

13 AMORE 1966, col. 242.

14 AMORE 1966, col. 243.

15 MILAZZO, RIZZO NERVO 1988, pp. 128-133.

16 CATTABIANI 1988, cit.

17 CELLETTI 1966, coll. 252-255.

18 La lapide fu scoperta da P. Orsi nel 1894 nelle Catacombe di San Giovanni a Siracusa, la lastra marmorea quadra misura m 0,24 x 0,22 x 0,03. Una immagine della lapide è reperibile al seguente indirizzo web: http://www.basilicasantalucia.it

19 MILAZZO, RIZZO NERVO 1988, p. 109.

20 ORSI 1895, p. 308. Sulla epigrafe vedi anche BARRECA 1902, pp. 30-39.

21 BARRECA 1902, loc. cit.

22 CELLETTI 1966, cit.

23 CELLETTI 1966, col. 253.

24 CELLETTI 1966, col. 253.

25 LANZI 2003, p. 90: di santa Lucia l’attributo principale sono gli occhi, offerti come le mammelle di sant’Agata.

26 BONGIOVANNI 2002, p. 46.

27 DEL BONO, NOBILI 2002, p. 73.

28 BUSCAINO 2001, p. 23.

29 SERRAINO 1968, p. 20: il Pugnatore afferma che nel 1286 avvenne la prima espansione della città per opera di re Giacomo d’Aragona, che fortificò il Castello di terra e vi aggiunse una seconda fila di mura, il fossato, il rivellino e le due porte; bonificò il quartiere Palazzo, costruendo la “Rua Grande” (Corso Vittorio Emanuele) ed aprì un’altra nuova arteria, chiamata “Rua Nuova” (Via Garibaldi). Cfr. DEL BONO, NOBILI 1986.

30 SERRAINO 1968, p. 279.

31 È ipotizzabile che a Trapani esistesse una struttura portuale a Nord riparata dai venti meridionali, questo giustificherebbe la presenza di una catenaria che avrebbe chiuso l’imboccatura del porto dal lato di Tramontana.

32 REGINELLA 2005, p. 83.

33 La chiesa oggi ha pianta quadrata ed ingresso dal lato Sud, confrontando la vecchia cartografia si può ipotizzare anche un’apertura sul lato Occidentale.

34 LOMBARDO 1998, M.S. Privilegi regali et lettere viceregie di gratie concesse ali pescatori della cità di Trapani 1609.

35 LOMBARDO 1998, p. 19.

36 Giuseppe Polizzi nacque a Trapani l’8 febbraio 1837 (fu bibliotecario della Fardelliana tra il 1870 e il 1880) e morì a Trapani il 6 settembre 1880. Di lui restano i manoscritti e alcune lettere, un busto in bronzo ed una lapide datata 01/01/1872 a ricordo della fondazione della Biblioteca Circolante, conservati presso la Biblioteca Fardelliana; un secondo busto in marmo è collocato su un piedistallo nella Villa Margherita di Trapani. La sua opera di cultore e conservatore di opere d’arte ha consentito la sopravvivenza di tanta parte del patrimonio culturale cittadino.

37 POLIZZI, carta 9 retro. Si riporta integralmente il passo del Polizzi: “*1472 I trapanesi trovano lafuttia del corallo ed ottengono la franchezza sopra tal genere e il/ real privilegio che nessuno dei Siciliani potesse fare loro concorrenza./ *Altri riporta questa scoperta al 1416. In Pantelleria non era permesso altri, fuori dei Trapanesi, di vender oggetti in corallo lav-/ rato (Nobile, res. mas’c°)”.

38 LOMBARDO 1998, p. 23.

39 TRASSELLI 1947, pp. 237-250. PRECOPI LOMBARDO 1987, p. 31. LOMBARDO 1998.

40 REGINELLA 2005 p. 83; in FAMÀ 2005.

41 COSTANZA 1984, p. 16: strumento costituito da due legni lunghi cinque palmi ciascuno (1 palmo = cm 25,8) con quattro reticelle quadre anche queste di 5 palmi per “banda” con maglie più larghe di quelle per pescare i pesci che serviva a raccogliere il corallo. Vedi anche LOMBARDO 1998, pp. 133-138.

42 È questa l’opinione della dott.ssa Maria Reginella, storica dell’arte in servizio presso il Museo Pepoli e studiosa di pavimenti in maiolica, che ringrazio delle informazioni che mi ha fornito.

43 DI FERRO 1825, pp. 54-55.

44 POLIZZI, carta 9. Vedi anche PRECOPI LOMBARDO 1987, figg. 4-5.

45 SERRAINO 1968, pp. 12-13. Il titolo di invittissima era stato concesso dal re Ferdinando il Cattolico nel 1478 e successivamente da Carlo V. Si fa anche notare l’enfasi posta nell’indicare la città di Trapani, che a distanza di circa venti anni dall’altra epigrafe viene qui definita con il titolo di “invittissima”, forse per evidenziare un maggiore allineamento dei pescatori con il potere politico e quindi con il “Palazzo” da cui poi si identifica tutta la zona compresa tra il Quartiere San Lorenzo e Quartiere San Francesco.

46 TESTORE, MONDRONE 1950, col. 972: sub voce CROCE.

47 Nota dell’autore: per portare l’imbarcazione nel banco di corallo i pescatori dovevano stringere il vento di Maestrale (320° N.) ma lo scarroccio e deriva avrebbe portato l’imbarcazione a percorrere una Rotta Vera di 290° N. sopra Capo Grosso dell’isola di Levanzo.

48 Comune della Provincia di Trapani dell’agro Ericino.

49 Si tratta molto probabilmente di miglia romane da m 1.486, che erano allora in uso nella navigazione, il palmo equivaleva a cm 25,8 il passo a m 1,48 e mille passi formavano il miglio pari a m 1.486: cfr. COSTANZA 1984, p. 16.

50 La distanza in miglia nautiche (1 mg = 1.852 m) da Trapani a Banco dei Pesci è di circa 12 mg (1.852 x 12 = 22.224 m), che corrispondono a: m 22.224 : 1.486 = 14,9 pari a 15 mg in uso nel XVII secolo.

51 Oggi la lapide si trova esposta all’interno del museo Pepoli, grazie all’interessamento del Direttore Dott.ssa M.L. Famà.

52 Cfr. MASSA.

53 Cfr. PUGNATORE.

54 PEDONE 1987 p. 127.

55 MASSA vol. I, p. 239.

56 MASSA vol. I, p. 163.

57 ALAGNA 1998, vol. II, p. 200. Cfr. MASSA vol. I, p. 240, il quale scrive che altro nome di San Todaro era Burrone e lo identifica con un promontorio a 12 miglia a Sud di Trapani, e con l’Aegithallus o Aegitharsus citato da Diodoro Siculo 24,1.

58 ALAGNA 1998, p. 196.

59 DUFOUR 1982, p. 437-438.

60 STIAFFINI 1999, p. 29: La zona è anche ricca di salsola kali che è anche utilizzata nella fabbricazione del vetro, e la sabbia proprio per le proprietà ferrose veniva caricata sulle galee in transito nei nostri mari, come si evince da atti notarili conservati presso l’archivio di Stato di Palermo, Notaio Vulpi, vol. 1134, 21 marzo 1405. Inoltre il toponimo Burrone o “Capo delo Berano” con cui si identifica la parte più occidentale dell’isolotto detto Corto, richiama certamente l’Isola di Burano di Venezia famosa, ancora oggi, per la particolarità dei vetri realizzati.

61 AMORE 1969, vol. XII, col. 240: san Teodoro fin dal tempo di Narsete, fu invocato come patrono fino a quando; nel sec. XIII, fu sostituito con san Marco. Inoltre san Todaro è la forma veneta di nominare il santo, ancora oggi a p.zza San Marco a Venezia le due colonne sono identificate come San Marco e San Todaro.

62 GPS/NAVSTAR – Global Position System (Sistema di posizionamento satellitare) – Il ricevitore a bordo dell’imbarcazione si attiva automaticamente visualizzando nel display, in tempo reale, latitudine e longitudine con un errore variabile di m 100.

63 Granatello, frazione del Comune di Marsala Prov. di Trapani.

64 Così riferisce il Capitano Salvatore Allotta, padrone marittimo, oggi in pensione, della flotta pescherecci trapanese.

65 Traduzione: Uscendo dal porto di Trapani, lasciata la seconda punta di Santa Caterina ci si allinea con Capo Grosso Levanzo, la cava di San Teodoro e la curva di Granatello da un lato, mentre con lo scoglio di Porcelli e guardando la vetta di Erice si scende verso Sud fino ad incontrare la macchia bianca presso Sant’Anna oppure Porcelli con l’Ospedale Sant’Antonio.

66 Si potrebbe trattare del reimpiego di un elemento con una precedente raffigurazione, che sarebbe stata scalpellata prima di eseguire la decorazione attuale.

67 Per il rilievo è stato noleggiato un cestello elevatore all’interno con il quale si è potuto raggiungere lo stemma e provvedere alle misurazioni e al rilievo a contatto.

68 BRESCIANI 1999: il racconto della disputa tra Horo e Seth per l’eredità di Osiri, (papiro Chester Beatty I), risale all’età di Ramesse V, alla fine della XX dinastia 11711069 a.C. – Testo in A. H. Gardiner, Late Egyptian Stories, Bruxelles 1932, in Letteratura e poesia dell’antico Egitto, Cuneo 1999, pp. 361-375 (“... Ecco, Horo stava sdraiato sotto un albero-scenuscia, nel paese dell’Oasi. Seth lo trovò, lo prese e lo gettò sul dorso sulla montagna; gli tolse i due occhi dalla loro sede, e li seppellì sulla montagna per illuminare la terra, e le due pupille dei suoi occhi divennero due boccioli, che germogliarono come fiori di loto. Allora Seth se ne venne e disse a RaHarakhet, mentendo: “non ho trovato Horo” mentre invece l’aveva trovato. Intanto Hathor, signora-del-sicomoro-meridionale, camminava e trovò Horo, disteso, piangendo, sul deserto. S’impadronì di una gazzella, la munse e disse a Horo: “ Apri i tuoi occhi, che vi metta queste gocce di latte; ne mise nel destro, ne mise nel sinistro, poi disse” Apri gli occhi” Egli aprì i suoi occhi, essa li guardò e li trovò guariti. Allora andò a dire a Ra-Harakthe: “Horo è ritrovato: Seth l’aveva privato dei suoi occhi, ma io ho fatto che si ristabilisse: eccolo che viene…”).

69 Non ci si riferisce qui in particolare a tradizioni (di stretta pertinenza di un’ottica antropologica) che, pur presenti anche nel trapanese, non rinviano agli ambienti della marineria e della pesca: come quelle di preparare e mangiare, in occasione della festa, la cosiddetta cuccìa.

70 Cfr. VITTOZZI 2002, p. 146: La conchiglia Cypraea Moneta esprime bene una sorta di koinè mediterranea, un linguaggio magico-religioso appartenente a molte culture: utilizzata e riprodotta in faïence, in Egitto era legata all’ambito femminile, al culto di Hator, cui in altri culti magici virginei potremmo sovrapporre Astarte o Afrodite. La stessa conchiglia si ritrova come amuleto in popolazioni nord-africane in tempi più recenti, come già presso culture antiche del Mediterraneo.

71 Si tratta di informazioni apprese da marinai e confermate da ufficiali della Marina Militare di stanza a Trapani. È modo di dire comune dei marinai, con significato di “ritornare al porto”, jemu a San Franciscu (andiamo a San Francesco). Questo modo di dire ha analogia con espressioni del linguaggio della marineria di Marsala, dove punti perspicui sono la cupola della chiesa Madre e il palazzo grattacielo, ma si usa dire jemu a San Giuvanni (andiamo a San Giovanni), chiesa antichissima sulla punta occidentale della città.

72 STINCO 1974, p. 30. Nella Basilica dell’Annunziata chiamata inizialmente della Muciara, erano raccolti gli ex voto dei pescatori costituendo un vero tesoro, che fu rubato quasi integralmente alcune decine di anni fa.

73 WILPERT 1950, coll. 958-964; LECLERQ 1936, coll. 1936-1943; KNAUR 1991, pp. 338-341.

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