ASSOCIAZIONE AMICI DEL MUSEO PEPOLI  -  Trapani

 
 
 

INDICE (linkabile)

   AM. Precopi Lombardo "Il corallo"

   L. Novara "Corallai ebrei a Trapani (sec. XV)"

   AM. Precopi Lombardo "Quadro alfabetico dei corallai ebrei"

   AM. Precopi Lombardo "Famiglie di corallai con più maestri attivi nell’arte"

   AM. Precopi Lombardo "La storia del corallo trapanese tra arte e artigianato: la prospettiva socio-economica"

   L. Novara "Il corallo trapanese tra arte e  artigianato: i maestri e le opere"

   L. Novara "Note biografiche su alcuni scultori e corallari trapanesi"

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Il prezioso oro rosso si prestava alla realizzazione di grossi guadagni ...  la sola pulitura e il taglio dei rami facevano triplicare il valore del corallo ... “comu nexi di lu mari”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La scoperta di nuovi banchi corallini nel mar di Trapani e nei pressi di San Vito Lo Capo riacutizzarono l’attenzione degli ebrei del Maghreb, dei catalani e dei genovesi per la città di Trapani

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel XVI secolo la presenza ufficiale ebraica scompare dopo l’espulsione del 14929; ma molti artigiani rimangono grazie ai vantaggi della conversione;

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel primi anni del seicento, ... gli scultori del corallo ... rivendicarono all’interno dell’associazione il diritto di avere un proprio ruolo riconosciuto e accettato

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 i pezzi più importanti ... spesso venivano realizzati solo su ordinazione

 

 

 

 

 

 

Nel 1665 trentasei scultori avevano firmato gli statuti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Per l’abitudine presso le famiglie di approntare presepi vennero realizzate figurine in legno, tela e colla, in cera e in creta;

 

 

 

Nel corso del settecento il minore apporto di corallo determinò la rarefazione delle statuine in questo materiale

 

 

Nell'ottocento lo Stato creò scuole di arti e mestieri

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

PER UNA STORIA DEL CORALLO ...

Annamaria Precopi Lombardo - Lina Novara

Annamaria Precopi Lombardo

La storia del corallo trapanese tra arte e artigianato: la prospettiva socio-economica

La storia del corallo trapanese è storia di molti secoli; essa si sviluppa e segue un andamento discontinuo; infatti, sebbene il corallo mediterraneo sia conosciuto e apprezzato fin dall’antichità come amuleto o come componente di farmaci1, solo dal XIV si può parlare di una vera storia del corallo trapanese legata alla scoperta di nuovi banchi, ai privilegi di pesca, alle esenzioni daziarie, alle politiche commerciali ed economico-sociali, a nuove scelte di tecniche di pesca e lavorazione2.

 Nei primi due secoli del secondo millennio i catalani, i genovesi, i marsigliesi e gli ebrei furono tra i grandi protagonisti della storia del corallo mediterraneo. I giudei di religione ebraica e di lingua araba fin dall’XI secolo, in un mare dominato dagli arabi, si erano ritagliati un loro spazio economico come mercanti e artigiani; con questo ruolo si erano distribuiti nelle città costiere e, come attestano i documenti, riuscirono a essere efficaci interlocutori tra l’oriente e l’occidente avendo realizzato una delle reti commerciali più interessanti del medioevo3. La comparsa dei normanni alla guida della Sicilia non aveva scalfito i loro interessi commerciali, anzi divennero interlocutori e intermediari non solo nella sfera economica ma anche in quella politica. Le lettere dei mercanti testimoniano la valenza economica e la varietà dei traffici da loro esercitati; è probabile che proprio della lavorazione e della commercializzazione del corallo abbiano fatto una loro specializzazione che miravano ad esercitare in forma monopolistica, come del resto avveniva anche per la tintura dei tessuti e alcune tecniche di tessitura4.

Il prezioso oro rosso si prestava alla realizzazione di grossi guadagni; sebbene fosse possibile commercializzarlo grezzo, la sola pulitura e il taglio dei rami facevano triplicare il valore del corallo “selvaggio”, “rustico”, “comu nexi di lu mari”; le operazioni di selezione del materiale, la successiva trasformazione in grani o barilotti e la levigatura, consentiva utili molto appetiti dai mercanti e soprattutto dai mercanti ebrei che per la loro particolare posizione giuridica miravano alla rapidità degli affari e dei commerci. In questo settore le transazioni avvenivano nel corso di un anno e il capitale impiegato cresceva in maniera esponenziale; se l’investitore provvedeva anche alla commercializzazione ricavava degli utili che ben pochi prodotti del mercato mediterraneo medievale potevano dare5.

Le esenzioni daziarie concesse sul pescato da Federico lll nel 1314 ai pescatori della città di Trapani, incrementarono la cantieristica cittadina e le attività marinare e spinsero a dotare le barche con attrezzature specifiche per i diversi tipi di pesca6. Il pescatore trapanese aveva la possibilità di lavorare per tutto l’anno, infatti accanto alla pesca comune e ai trasporti maritmi costieri, al piccolo contrabbando, esercitava le pesche specializzate del tonno e del corallo.

La scoperta di nuovi banchi corallini nel mar di Trapani e nei pressi di San Vito Lo Capo riacutizzarono l’attenzione degli ebrei del Maghreb, dei catalani e dei genovesi per la città di Trapani; i genovesi anche se impegnati direttamente per la pesca e il commercio del corallo sardo e di quello dell’alto Tirreno, erano senz’altro interessati a quello trapanese e a quello maghrebino: per la ricchezza dei banchi e per la qualità del pescato. I porti del Nord-Africa non erano sempre sicuri; essendo in mano araba si stabilivano rapporti commerciali con impegni e concessioni che non sempre potevano essere onorati. Più rassicuranti erano i porti siciliani passati in mano cristiana; quello trapanese in particolare esercitò sui governi delle potenze marinare un notevole interesse, perché pur essendo a poche miglia niarine dal porto di Tunisi e dalla zona di pesca di Tabarka consentiva una serie di garanzie di cui non era possibile godere nei porti nordafricani7.

Dalla fine del XIII e nel XIV secolo il porto assunse un ruolo sempre più importante e si collocò tra gli approdi preferiti dei commerci marittimi; il porto, egli altri porti ad esso preferiti, erano tra i terminali per l’approvvigionamento di derrate alimentari; nel XV secolo Trapani divenne un centro di reclutamento di uomini e imbarcazioni per la pesca del corallo; da Trapani partivano per la Sardegna (l444, l469), per la Barbaria, per Tabarka (1446, l447), per la Galizia (1478), per la Calabria (1491)8. La città emergente, la bianca colomba degli arabi divenne un vero centro mediorientale, terra di immigrati e di libero mercato.

Gli ebrei e i genovesi avevano con i trapanesi lunga consuetudine sia in Africa che in Sicilia; nell’ultimo ventennio del trecento una lenta migrazione portò famiglie ebraiche e genovesi a trasferirsi a Trapani in un rapporto di grande civiltà anche se di separazione, come imponevano la tradizione e le disposizioni regie ed ecclesiastiche. Le scoperte fatte tra il 1416 e il 1418di “una mina [miniera] di coralli meraviglia nel mar di Trapani” e quella del 1439 in quel di S. Vito, accelerò i trasferimenti soprattutto degli ebrei che aprirono numerosi laboratori pur continuando ad essere quasi sempre artigiani e commercianti. Ormai si era affermata la scelta politico-economica di lavorare il corallo vicino alle zone di pesca; là, dove si organizzava la pesca e dove tornavano le barche, si trasferirono gli imprenditori e i maestri che aprirono le loro botteghe sulla loggia; a Trapani come a Barcellona tutti godevano dei benefici sulle franchigie per il pescato e per la fiera; era il valore aggiunto agli utili che determinava la mobilità degli operatori da altre zone meno protette dai benefici regi. Ma coloro che si trasferirono non potevano ritornare nelle terre degli “infedeli” né andare fuori regno; erano legati al segreto per le zone di pesca e per le tecniche di lavorazione. La città di Trapani vide crescere il numero dei residenti e si verificarono forme d`inurbamento stabile sempre più articolate, soprattutto nel quartiere S. Lorenzo e in quello di S. Pietro. Per gli ebrei residenti fu il trionfo dell’artigianato sul commercio; mentre i genovesi continuarono a frequentare Trapani soprattutto come imprenditori. Il quartiere di S. Lorenzo con la cappella di S. Giorgio non ospitava solo genovesi, ma soprattutto molte botteghe artigiane di corallari ebrei che per i genovesi lavoravano.

Nel XVI secolo la presenza ufficiale ebraica scompare dopo l’espulsione del 14929; ma molti artigiani rimangono grazie ai vantaggi della conversione; sono coloro che confusi tra gli altri cristiani proseguono nell’attività che i loro padri avevano esercitato: sono figli di conversi rimasti a Trapani che creano insieme ai cristiani la prima struttura consolare dei corallari; essi si inseriscono anche nella processione dei ceri per la Madonna de1l’Assunta "'; ormai cristiani e per questo cittadini a pieno titolo partecipano alla vita delle associazione e arricchiscono la città con la loro opera; collaborano con orafi, bronzisti e argentieri per realizzare pezzi di indiscutibile pregio; a volte è il colore l"elemento qualificante; i pezzi sono ripetitivi come le sferette o le lamelle di forme diverse; parlano soprattutto di tecnica di taglio, pulitura, lucidatura e selezione; pochi colpi di lima completano questo materiale che nella forma sferica viene perforato per le lunghe litanie buddiste, le invocazioni musulmane e per i paternostri cristiani. Altre volte le piccole sculture danno il segno di un’arte nascente; l’introduzione dell’uso del bulino e del cesello nelle lavorazioni coadiuva il mastro corallaro con interessi estetici e rinnovate abilità tecniche. Gli scarti di lavorazione e il materiale scadente vengono venduti agli operatori che li utilizzano nella farmacopea.

Il corallo grezzo suddiviso per qualità, colore e diametro era venduto a peso; ma i pezzi sani e grossi erano venduti a parte e rappresentavano un prodotto di nicchia per una clientela molto delimitata e disposta a spendere anche grosse cifre.

La corporazione si arricchiva e tra i maestri, soprattutto coloro che potevano investire capitali, realizzavano un consistente benessere; le botteghe avevano apprendisti e lavoranti; tra i lavoranti più qualificati si andava selezionando il gruppo degli scultori; questi per lo più facevano i prestato-ri d’opera e consentivano al maestro titolare della bottega qualificazione e guadagni

Nel primi anni del seicento, con la nuova organizzazione delle arti e del commercio gli scultori del corallo, stanchi di essere sempre minoritari rispetto ai maestri della categoria dei corallai fabbricatori, rivendicarono all’interno dell’associazione il diritto di avere un proprio ruolo riconosciuto e accettato; negli statuti 1628 gli scultori furono inseriti e distinti nella maestranza dei corallai: “Capitoli della maestranza delli corallari et sculto-ri di esso corallo”, ma al capitolo V troviamo la norma: “Si determina che imastri sculptori di opera di alabastro o di altra materia non possono concorrere ad essere consoli ma vogliamo che siano corallari o scultori di detto corallo i sudetti consoli et consigliero”11. Questo dispositivo ribadito nell’approvazione del Senato del 30 agosto 1633 costituiva una limitazione per gli scultori; infatti ben difficilmente si sarebbe potuto reggere una bottega con la sola scultura del corallo, poter esercitare l’arte su altro materiale avrebbe ampliato l’offerta e consentito una più articolata collocazione commerciale.

La formazione della corporazione degli scultori del marmo, separati dai maestri fabbricatori dell’edilizia, e desiderosi di coinvolgere tutti i maestri trapanesi che usavano le tecniche proprie della scultura a prescindere dai materiali adoperati, esercitò dal 1645 un forte potere di attrazione per gli scultori del corallo; i corallai fabbricatori non volevano perdere gli operatori più rappresentativi della loro arte, né volevano condividere con altri esclusività della vendita del corallo, da questo una lunga battaglia legale combattuta dal 1643 al 1669. Gli scultori tenacemente rivendicavano la propria libertà di artisti e la propria specificità di operatori; essi richiedevano il riconoscimento dell’esclusività all’uso del bulino e degli strumenti propri per la lavorazione delle pietre dure e semipreziose, delle conchiglie e del corallo. Alla fine furono riconosciute le tecniche proprie della scultura in piccolo e in grande e il diritto all’esercizio del1’arte senza altri vincoli se non quelli posti dal diritto corporativo; anche i corallai ottennero il loro riconoscimento, quello del taglio e della spuntatura dei rami, della lucidatura e della perforazione dei chicchi da loro prodotti e soprattutto della commercializzazione del corallo; gli scultori solo nel 1669 ebbero la licenza di commercializzare le loro produzioni in corallo, insieme a quelle in alabastro, tartaruga, ambra, onice e avorio. Le battaglie di competenze e di regole avrebbe potuto imprigionare un mestiere che voleva diventare arte,voleva ricercare valori estetici, ma non poteva rinunziare a quelli economici12. In questo contesto si seleziono quel gruppo di scultori “in piccolo” che realizzarono opere preziose, apprezzate in tutta l’Europa e riconosciute tra le produzioni più interessanti dei musei e delle collezioni private. Anche per la nuova scoperta di ricchi banchi corallini nei pressi di Trapani'13 ha inizio la storia fortunata di una tecnica che si avvale di strumenti antichi; ma che li adopera in modo nuovo e si impone sul mercato europeo per la bontà dell'esecuzione, il gusto estetico, le tipologie elaborate e la sobrietà nelle scelte progettuali.

Quando nel XVIII secolo la pesca del corallo trapanese non dà più i frutti copiosi del secolo precedente, i maestri si riforniscono presso altri mercati, ma i costi lievitano e essi si dedicano soprattutto alla lavorazione dell’osso e dell’avorio, alla glittica e alla realizzazione di cammei su conchiglie.

L’antica arte dell’incisione, del rilevo e la scultura di piccoli pezzi in corallo, avorio e ambra produce numerose opere che erano ampiamente e tradizionalmente diffuse in città; ma i pezzi più importanti, per gli alti costi della manodopera e della materia prima, spesso venivano realizzati solo su ordinazione e in alcuni casi diventavano il dono prezioso per altissimi funzionari o per gli stessi sovrani; la maggior parte della produzione era costituita da piccoli oggetti o statuine di modeste dimensioni, che potevano anche essere assemblate in un unico contenitore per riprodurre una scena devota o un episodio della tradizione classica. I soggetti religiosi erano prevalenti sugli altri e le scarabattole e gli altarini diventarono oggetti di devozione privata e di apparato; per i cammei erano privilegiati i soggetti tratti dalla mitologia latina e greca anche per il carattere prevalentemente profano che si faceva dell'uso di tali opere. Accanto agli episodi evangelici narrati dai piccoli ma ricchi presepi in corallo e avorio dell’ultimo settecento, si diffonde anche l’uso di racchiudere gli stessi personaggi, con un lavoro ancora più minuto, in scarabattole spesso di piccolissime dimensioni, esse potevano essere appese al muro o diventavano altarini itineranti nei lunghi viaggi in carrozza per la devozione privata di laici, religiosi o ecclesiastici. Gli scultori non mancavano di rappresentare nelle scarabattole, nei capezzali e nelle acquasantiere altri episodi evangelici, come nella splendida e interessante “Resurrezione” del Museo Pepoli dove troviamo raffigurati con un lavoro pazientissimo scene dell’Antico e del Nuovo Testamento.

Nel 1665 trentasei scultori avevano firmato gli statuti tra questi ne troviamo molti che lavoravano il corallo: Giacomo Bartulotta, Francesco Antonio Brusca, Antonino, Ignazio e Simone de Caro, il quarto fratello Diego probabilmente operò anche su materie diverse dal corallo, Giovanni Pirao,Giuseppe Rinaudo, Cono e Mario Rizzo, Andrea Sole e probabilmente i suoi fratelli Gaspare e Vito. Tra i firmatari dei citati capitoli compaiono due scultori della famiglia Milanti sono Leonardo e Diego, zio e nipote e da una notizia di Mario Serraino abbiamo appreso che anche questi due artisti si dedicarono alla piccola scultura privilegiando l’avorio per l’esecuzione delle loro opere!4. L’abitudine di molti scultori trapanesi di incidere conchiglie, di scolpire il corallo, l’avorio, l’alabastro li portò ad essere tra i più significativi rappresentanti di questa tradizione e una classe di artisti, che in buona parte proveniva anche da famiglie dedite ad altre attività artigianali come gli argentieri o bronzisti, si ritrovò a gestire, come mai nel passato, una committenza sempre più numerosa che imponeva nuovi modelli compositivi.

Nel XVI secolo Leone X aveva imposto l’obbligo del Crocifisso sull`altare; nei primi decenni del XVII tutte le chiese ne fecero eseguire e si aprì un ampio dibattito per la definizione del tipo da utilizzare; il Bernini realizzò due modelli in creta, uno con il “Cristo Morto” e l’altro con “Gesù Agonizzante”, essi vennero riprodotti dai suoi allievi e posti sugli altari della basilica di San Pietro tra il 1657 e il 1671. Furono i modelli dei moltissimi crocifissi di piccole dimensioni che si diffusero nel mondo cattolico.

A Trapani un corallaio di indiscutibile talento realizzò per la chiesa di San Francesco uno splendido crocifisso in corallo, di notevoli proporzioni grazie ad un ramo di inusitata grandezza per il corallo mediterraneo15. L'opera fu subito apprezzata per l’a1to valore artistico e per il materiale adoperato

e determinò una moda tra le classi abbienti, il clero e i religiosi degli ordini monastici; possedere un crocifisso in corallo soddisfaceva l’elemento pietistico e l’apparato ornamentale e impose presso gli scultori un tipo nuovo per le loro opere. Una incredibile produzione di crocifissi, ampiamente documentata dai testamenti e dalle opere giunte fino a noi, si affiancò alla ricca produzione dello stesso soggetto in avorio, argento o altro materiale '“;la produzione si sviluppò soprattutto nel settecento e Andrea Tipa (1725-I766) e il fratello Alberto (l732-1783) furono tra i più attenti e abili esecutori di questo tipo in avorio, corallo e pietra incarnata17.

 La Sicilia ha sempre espresso una particolare devozione alla Madonna egli Ordinari ecclesiastici e gli ordini religiosi hanno stimolato e favorito il culto e la ritualità elaborando numerose rappresentazioni mariane. Nel XVII secolo ad opera dei Carmelitani si verificò il rilancio della devozione alla Madonna di Trapani; la splendida opera di Nino Pisano posta nella chiesa alle falde del Monte Erice, fin dal Cinquecento era stata oggetto di particolare devozione in ambito mediterraneo18; la sua riproduzione era già stata richiesta nei secoli trascorsi anche a scultori di fama19; per la diffusione crescente della devozione divenne un tipo iconografico ricorrente per gli scultori trapanesi. La statua della Madonna di Trapani oggetto di particolare attenzione da parte degli scultori di alabastro, fu riprodotta in piccole dimensioni anche in corallo o avorio e divenne oggetto di esportazione20; fino al 1734 essa veniva rappresentata senza corona, successivamente per delibera pontificia venne incoronata e le sculture dalla fine del settecento la raffigurano con questo nuovo attributo21. Molti viaggiatori che giungevano a Trapani al loro partire non sapevano rinunciare a portare nei luoghi di provenienza le statuine col dolce sorriso di Maria; l'immagine si impose sul mercato estero come prodotto trapanese e furono richieste in misura sempre crescente le opere che raffiguravano la“grande taumaturga”, “il più bel fiore del Carmelo”, la “Stella maris”. La tipologia rivaleggiava con quella dell’Immacolata che venne definita in quegli anni a cura dei Francescani, “in piccolo e in grande”, “in tenero e in duro” e anche questa immagine veniva realizzata dagli scultori trapanesi in avorio e corallo.

Per l’abitudine presso le famiglie di approntare presepi vennero realizzate figurine in legno, tela e colla, in cera e in creta; un secondo filone artistico utilizzava tecniche più sofisticate, materiale prezioso e sviluppò la tradizione del presepe artistico, oggetto di lusso di una religiosità spesso este-riore e rappresentativa; gli artisti più stimati adoperarono materiale di pregio quali l’alabastro, l’avorio, l'argento e il corallo; Trapani, insieme a Palermo e Napoli, divenne una delle città produttrice di questo particolare tipo di scena 22.

Accanto al Crocifisso, alle riproduzioni della Madonna e alle statuine del presepe gli scultori trapanesi si impegnarono anche alla realizzazione di immagini di S. Alberto, di S. Giovanni Battista, di S. Antonio e di S. Francesco, segno di una devozione diffusa e dovuta alla capillare opera di apostolato delle famiglie religiose presenti nel territorio. Anche l'immagine di Santa Rosalia ricorre frequente negli inventari, ma era destinata prevalentemente al ben più ricco mercato palermitano23.

Nel corso del settecento il minore apporto di corallo determinò la rarefazione delle statuine in questo materiale e gli artisti ricorrevano all’osso e all’avorio utilizzando pochi o nessun elemento di corallo; il corallo pescato nei mari trapanesi era sempre più minuto, i fondali dove trovarlo sempre più profondi; il pescato non dava una resa economica sufficiente a reggere 1'indebitamento per le campagne di pesca; il mercato non era più protetto da disposizioni legislative di favore; nascevano le manifatture napoletane che avevano sempre operato nel corallo ma non avevano mai saputo e potuto imporsi, anche per i privilegi di cui godevano gli operatori trapanesi.

Nell'ottocento lo Stato creò scuole di arti e mestieri; anche a Trapani l’interesse per le arti non venne meno; ma se la glittica e il disegno furono materie anche del liceo, nel 1828 venne istituita dal sindaco Giovanni Fardella Riccio la scuola di Belle Arti che ereditò la tradizione della bottega artigiana del XVII e del XVIII secolo; anche questa non ebbe vita facile e solo nel 1882 l’approvazione del regolamento per la Scuola di Arti e Mestieri sembrò riattivare l’attenzione per le manifatture tradizionali: “Ben è vero che il Municipio di Trapani ha preso a cuore in questi ultimi anni la causa del1’arte col fondare e provvedere di buoni locali e modelli le scuole operaie, una delle quali è rivolta alla plastica, cominciando dalla modellatura in creta e può dare in avvenire un nuovo contingente di alunni dell’incisione dei cammei o dei coralli” 24.

La bottega ottocentesca tornò come nel Medioevo ad essere un libero laboratorio di produzione e commerci, sottoposta direttamente alla tutela dello stato attraverso i suoi organi all’uopo istituiti. Oggi a Trapani esistono due soli laboratori per la lavorazione del corallo e presso questi due maestri si recano i giovani che vogliono imparare la pregiata arte dell’incisione.

NOTE

1 J.P.BÉNÉZE'l`, Farmacie et médicament en Méditerranée occidentale (XIII-XVI siècles), Paris 1999

2 H. BRESC, “Péche et commerce du corail en Mediterranee de l'Antiquité au Moyen Age”, in Atti del convegno - Ravello, villa Rufolo, 13-15 dicembre 1996, pp. 41-51. BRESC-BAUTIER et H. BRESC, “ll corallo siciliano nel Mediterraneo medievale", in La Fardelliana, Trapani, maggio-dicembre 1982, n. 2-3, p. 39-49. G. BRESC-BAUTIER - “Le corail sicilien” in La Mèditerranee medievale, Actes du 3e congrès international d'étude des cultures de la Méditerranée occidentale (Jerba, avril 1991), Malte 1985, p. 91-98.

3 vd. S. D. GOITEIN - Letters of Medieval Jewish Traders, Princeton 1973 e H. BRESC - “Péche et coraillage aux derniers siècles du Moyen Age: Sicile et Provence orientale”, in L'Exploitation de la mer de 1'Antiquité a nos jours. La mer, lieu de production. Actes des Ve rencontres internationales d'archéologie et d'histoire, Antibes, octobre 1984, Valbonne 1985, p. 107-115.

4 Numerosi documenti attestano la vastità e la capillarità dei rapporti commerciali dei mercanti ebrei nel Mediterraneo orientale e occidentale; vd, in S. SIMONSOHN, The ./ews in Sicily, v1.I, Lciden,New York, Koln 1997.

5 Vd. note nn. 2, 3.

6 Nel 1314 re Federico lll aveva concesso ai pescatori trapanesi l`esenzionc della gabella per il pesca-to, ad eccezione dei tonni, c con l°obblìgo di commercializzarlo nella città; il privilegio l`u confer-mato dai sovrani successivi; vd. G. LOMBARDO, I privilegi dei pescatori trapanesi, Marsala 1997, pp. 96ss.

7 L. DE MAS-LATRIE, Traités de paix et de commerce et documentes divers concernant les rela-tions des chrétiens avec les Arabes de l’Afrique septentrional au Moyen Age, Paris 1866. È un’ope-ra fondamentale nel panorama degli orizzonti politici ed economici; opere successive hanno apportato nuovi documenti, ma l`impianto di questa ricerca resta sempre valido e interessante. vd.anche G. LAVERGNE “La péche et le commerce du corail à Marseille aux XIVe et XVe siècles”, in Annales (du Midi, 64, 1952, pp.159- 211 e M. DEL TREPPO, I mercanti catalani e l’espansione della Corona d’Aragona nel secolo XV, Napoli 1972.

8 Fonti per la storia del corallo nel Medioevo mediterraneo, a cura di A. SPARTI, Trapani 1986; ad oggi è la più completa raccolta di documenti notarili per la storia del corallo trapanese nel XV secolo. Uno spaccato sulla vita del porto e sulle attività della città dal XVI al XVIII è nell`opera di F. BENIGNO, Il porto di Trapani nel Settecento, Trapani 1982, pp.25, 107-108, particolarmente interessanti le note; vd. anche G. LOMBARDO, I privilegi dei pescatori , op. cit. p. 129: “nessuna tasssa gravava sul pescato: agiva invece un'imposta stabilita nel 1418 che riguardava tutti i proprietari di barche e fu mantenuta fino ai primi del `700...". Gravava anche una tassa sul1`esportazione del corallo lavorato, questa veniva sospesa durante il periodo della fiera.

9 AM. PRECOPI LOMBARDO, “Le comunità ebraiche del trapanese nei documenti editi e inediti del XV secolo”, in Italia Iudaica. Gli ebrei in Sicilia fino all'esulsione del 1492, Atti del V con-vegno internazionale a cura di S. Simonsohn, Palermo 15-19 giugno 1992, Roma 1995, pp. 493ss.

10 AM. PRECOPI LOMBARDO, “Gli ebrei nella bufera dell`espulsione”, in Libera Università Trapani, V (1986). 12, pp. l 73ss.

11 AM. PRECOPI LOMBARDO, “Fede, rito e leggenda nella processione dei ceri”, in Il tesoro nascosto. Gioie e Argenti per la Madonna di Trapani, catalogo della mostra, a cura di M.C. DI NATALE e V. ABBATE, Trapani - Museo Regionale Pepoli, 2 novembre 1995 -3 marzo 1996, Palermo 1995, pp.86-89.

12 S. COSTANZA, “Per una storia dei corallari di Trapani”, in L'arte del corallo in Sicilia, Catalogo della Mostra Internazionale, Trapani Museo Pepoli, 1 marzo - 1 giugno 1986, Palermo 1986, pp. 51-68.

13 Nel 1651 e nel 1673 furono individuate due ricche zone di pesca che diedero nuovo impulso all’attività dei corallari e degli scultori del corallo vd. AM. PRECOPI LOMBARDO, L 'artigianato trapanese, Trapani l987, pp. 28 e 38-43; L. COCCO, I consolati della città di Trapani con alcuni statuti inediti, tesi di laurea, Palermo a.a. 1934-1935. In questo lavoro tra gli altri sono trascritti i capitoli del 1633; B. PATERA, Corallari e scultori di corallo nei capitoli trapanesi del 1628 e del 1633", in L’arte del corallo in Sicilia, op. cit., pp. 69-77.

14 BF. ASST. Lettere l9.X1. 1643; 2. VI. 1665; 29. IV. 1666; 3. VI. 1669; Acta 13. VIII. 1663; AST, not. M. Corso 3. I. 1663.

15 "Est hic signum S. Crocifixi integro prezioso corallo palmare affabre sculpitum in toto fere orbe singolare" vd. R. PIRRI, Sicilia Sacra, Palermo 1733, p. 879, ed anastatica A. Fomi, Bologna 1987; vd. anche V. ABBATE scheda n. 30 in L’arte del corallo in Sicilia, op. cit.

16 AST, not. Salvatore Baucina 1643: Mario Ciotta si obbliga a realizzare dei crocifissi da inviare a  Messina; not. Leonardo Gioacchino Amico: Antonio Francesco Brusca vende a un napoletano un crocifisso in corallo e rame; Nicola Corso presso il not. Cristoforo Perna nel 1673 riscuote il dana-ro per cinque crocifissi venduti a Napoli; realizzano crocifissi per il rivenditore cagliaritano Andrea de Amelia lo stesso Brusca (not. Pietro Cusenza 1665), Antonino Maniscalco (not. Pietro Cusenza 1668), e Gaspare Furco (not. Pietro Cusenza 1668). Alcuni esemplari sono stati studiati per la mostra del corallo, tenuta presso il Museo Popoli: L’arte del corallo, op. cit., M.C. DI NATALE schede nn. 38, 98, 104, 105, 108, 130, 131; L. ALJOVALASIT scheda n. 65; G. C. ASCIONE scheda n. 92. Altri nomi ci tramandano i documenti, la storia locale e una tradizione spesso non documentata: Stefano Barlotta; Leonardo Buongiorno; Vito Bono; la famiglia Ciotta, Giuseppe senior, Ippolito, Mario senior, Pietro e Sebastiano; Nicolò Corso; Simone Crasto; Vincenzo Cuculla; Andrea Di Bartolo; Francesco Di Giovanni; Gaspare e Leonardo Furco; Domenico Giacometto; Antonio Maniscalco; Antonio e Filippo Magliocco; Francesco Massonico; Santoro Orestano; Alberto e Pietro Orlando; Francesco Palazzolo; Nicolò Renda; Luciano Santarello; Ignazio Taddia e Rocco Valenza.

17 vd. G. M. DI FERRO, Biografia degli uomini illustri trapanesi, Trapani l830, in rist. anast. Bologna 1973. vl. I, pp. 243ss.; vl. II, pp. 243ss.

18 Il tesoro nascosto, op. cit. agli autori V. ABBATE, M.C. DI NATALE e V. SCUDERI.

19 Le riproduzioni della Madonna di Trapani furono richieste anche ad artisti noti; esemplare è l`episodio della riproduzione richiesta dagli ericini a Francesco Laurana, ma della quale si innamorarono i palermitani che non consentirono che venisse consegnata. Gli ericini ricorsero successivamente a Domenico Gagini che ne eseguì una copia nel 1469; B. PATERA, Francesco Laurana in Sicilia, Palermo 1992, pp. 52-53. Il soggetto fu caro anche ai corallari: L’arte del corallo, op. cit., G. C. ASC IONE, scheda n. 19; E. Tartamella, scheda n. 21; V. Abbate scheda n. 166; Il tesoro nascosto, op. cit., M. C. D1 NATALE, scheda n. I. 20.

20 Riproduzioni del1’opera di Nino Pisano sono in molte chiese siciliane, numerose quelle di misura inferiore; una buona copia in alabastro è allocata nella chiesa trapanese dell’Itria, proveniente dal1’ex chiesa di S. Alberto; una riproduzione è conservata al Museo del Louvre e un’altra nella cattedrale di Tunisi, memoria artistica oggetto di culto.

21 Alla Madonna di Trapani il Vicerè Ossuna aveva donato nel 1611 due corone, ma gli artisti preferivano rappresentarla nella purezza delle sue linee; dopo il 1734 con l’incoronazione ufficiale voluta dal Capitolo Vaticano, la statua viene indicata come “Maria SS. di Trapani Incoronata”, del che la nuova tipologia che la vede anche nella piccola scultura con le due corone, una per la Vergine e 1’altra per il Bambino.

22 vd. S. LA BARBERA, “La natività nella scultura siciliana dal XV al XVIII secolo”, in Il Natale nel presepe artistico, coord. scient. di M. C. DI NATALE, Palermo 1994, p. 35 ss.

23 AM. PRECOPI LGMBARDO, “Tra artigianato e arte: la scultura trapanese del XVII secolo”, in Miscellanea Pepoli, Trapani 1997, p. 98ss.

24 G. POLIZZI, Ricordi Trapanesi, Trapani 1880, pp. 51-52. Presso la Scuola di Arti e Mestieri confluirono molti dei disegni tecnici e delle stampe che erano stati il vero patrimonio operativo della fioritura delle arti applicate a Trapani; la successiva dispersione non consente oggi una oggettiva e completa lettura di quanto variamente acquisito.

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