ASSOCIAZIONE AMICI DEL MUSEO PEPOLI  -  Trapani

 
 
 

INDICE (linkabile)

   AM. Precopi Lombardo "Il corallo"

   L. Novara "Corallai ebrei a Trapani (sec. XV)"

   AM. Precopi Lombardo "Quadro alfabetico dei corallai ebrei"

   AM. Precopi Lombardo "Famiglie di corallai con più maestri attivi nell’arte"

   AM. Precopi Lombardo "La storia del corallo trapanese tra arte e artigianato: la prospettiva socio-economica"

   L. Novara "Il corallo trapanese tra arte e  artigianato: i maestri e le opere"

   L. Novara "Note biografiche su alcuni scultori e corallari trapanesi"

------------------

 

 

 

 

 

Il corallo si prestava alla realizzazione di grossi guadagni; sebbene fosse possibile commercializzarlo grezzo

 

 

 

 

 

La scoperta di nuovi banchi corallini nel mar di Trapani e nei pressi di San Vito Lo Capo riacutizzarono l’ attenzione degli ebrei del Maghreb, dei catalani e dei genovesi per la città di Trapani

 

 

 

 

 

 

 

Gli ebrei e i genovesi avevano con i trapanesi lunga consuetudine sia in Africa che in Sicilia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’attività artigiana non era rivolta solo al commercio locale

 

 

 

 

 

 

 

Gli orafi creavano piccoli gioielli con perle, coralli e pietre colorate

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il corallo grezzo veniva suddiviso per qualità, colore e diametro ed era venduto a peso; ma i pezzi sani e grossi erano venduti a parte e rappresentavano un prodotto di nicchia per una clientela selezionata.

 

 

PER UNA STORIA DEL CORALLO ...

Annamaria Precopi Lombardo - Lina Novara

 

Annamaria Precopi Lombardo

Il corallo

Nei primi due secoli del secondo millennio gli ebrei insieme ai catalani, ai genovesi e ai marsigliesi  furono tra i grandi protagonisti della storia del corallo mediterraneo. I giudei di religione ebraica e di lingua araba fin dall’XI secolo, in un mare dominato dagli arabi, si erano ritagliati un loro spazio economico come mercanti e artigiani; con questo ruolo si erano distribuiti prevalentemente nelle città costiere  e, come attestano i documenti, riuscirono a essere efficaci interlocutori tra l’ Oriente e l’ Occidente, avendo realizzato una delle reti commerciali più interessanti del medioevo. La comparsa dei normanni alla guida della Sicilia non aveva scalfito i loro interessi commerciali, ma divennero interlocutori e intermediari dei nuovi signori cristiani non solo nella sfera economica, ma anche in quella politica.

Le lettere dei mercanti testimoniano la valenza economica  e la varietà dei traffici da loro esercitati; è probabile che proprio della lavorazione e della commercializzazione del corallo abbiano fatto una loro specializzazione che miravano ad esercitare in forma monopolistica. La stessa cosa avveniva anche per la tintura dei tessuti e alcune tecniche di tessitura con la seta e il filo d’oro; le cortine di seta erano il vanto delle donne ebree di Monte San Giuliano; molto richieste erano i drappi serici delle operaie dei laboratori di Palermo e i tessuti ricamati con perline e piccoli coralli.

Il corallo si prestava alla realizzazione di grossi guadagni; sebbene fosse possibile commercializzarlo grezzo, la sola pulitura e il taglio dei rami facevano triplicare il valore del corallo “selvaggio”, “rustico”,” comu nexi di lu mari”; le operazioni di selezione del materiale, la successiva trasformazione in grani o barilotti, la levigatura e la sfaccettatura consentivano utili molto appetiti dai mercanti, e soprattutto dai mercanti ebrei che, per la loro particolare posizione giuridica, miravano alla rapidità degli affari e dei commerci. In questo settore le transazioni avvenivano nel corso di un anno e il capitale impiegato cresceva in maniera esponenziale; se l’ investitore era un maestro corallaio che provvedeva anche alla commercializzazione,  ricavava degli utili che ben pochi prodotti del mercato mediterraneo medievale potevano dare.

Le esenzioni daziarie sul pescato concesse da Federico III  nel 1315 e nel secolo successivo la prammatica di Alfonso  sul corallo grezzo incrementarono la cantieristica cittadina e le attività marinare e spinsero armatori e pescatori a dotare le barche con attrezzature specifiche per i diversi tipi di pesca. Il pescatore trapanese aveva la possibilità di lavorare per tutto l’ anno, infatti accanto alla pesca comune e ai trasporti  costieri, al piccolo contrabbando, esercitava le pesche specializzate del tonno e del corallo.

La scoperta di nuovi banchi corallini nel mar di Trapani e nei pressi di San Vito Lo Capo riacutizzarono l’ attenzione degli ebrei del Maghreb, dei catalani e dei genovesi per la città di Trapani; i genovesi anche se impegnati direttamente per la pesca e il commercio del corallo sardo e di quello dell’ alto Tirreno, erano senz’altro interessati a quello trapanese e a quello maghrebino: per la ricchezza dei banchi e per la qualità del pescato. I porti del Nord-Africa non erano sempre sicuri; essendo in mano araba si stabilivano rapporti commerciali con impegni e concessioni che non sempre potevano essere onorati. Più rassicuranti erano i porti siciliani in mano cristiana; il porto di Trapani era per i governi delle potenze marinare di notevole interesse, perché pur essendo a poche miglia marine dal porto di Tunisi e dalla zona di pesca di Tabarka, offriva una serie di garanzie di cui non era possibile godere nei porti nordafricani

Nei secoli XIII e XIV il porto assunse un ruolo sempre più importante e si collocò tra gli approdi preferiti dei commerci marittimi; questo ruolo si sviluppò soprattutto nel XIV secolo; il porto e gli altri porti ad esso referenti erano tra i terminali per l’ approvvigionamento di derrate alimentari.

Nel XV secolo Trapani divenne un centro di reclutamento di uomini e imbarcazioni per la pesca del corallo; da Trapani partivano per la Sardegna (1444,1469), per la Barbaria e per Tabarka (1446,1447), per la Galizia (1478), per la Calabria (1491). La città emergente, la “bianca colomba” degli arabi divenne un vero centro mediorientale, terra di immigrati e di libero mercato.

Gli ebrei e i genovesi avevano con i trapanesi lunga consuetudine sia in Africa che in Sicilia; nell’ultimo ventennio del trecento una lenta migrazione portò famiglie ebraiche e genovesi a trasferirsi a Trapani in un rapporto di grande civiltà anche se di separazione, come imponevano la tradizione e le disposizioni regie ed ecclesiastiche. Le scoperte di banchi corallini fatte tra il 1416 e il 1418: “una mina [miniera] di coralli meraviglia nel mar di Trapani” e quella del 1439 in quel di S. Vito, accelerò i trasferimenti soprattutto degli ebrei che aprirono numerosi laboratori; alcuni di loro si dedicarono anche al commercio e costituirono con i maestri delle società miste di capitale e e lavoro, come nel caso  di Bracamo Cuyno che produceva i suoi coralli lavorati ad olivetta soprattutto per l’esportazione. Il prodotto lavorato raggiungeva i mercati siciliani ma anche a Roma, Napoli e Venezia.  A Napoli è attesta la bottega del trapanese Aronne Gergentario, corallaio ebreo, che realizzava paternostri in corallo. La notizia è interessante perché indica che il termine paternostra era da riferire alla forma piuttosto che la funzione dei chicchi di corallo tornito.

Dai documenti esaminati e dalla letteratura in nostro possesso troviamo che ben 16 famiglie hanno lavorato per tutto il secolo XV. Tra le piu numerose famiglie ebraiche che si dedicarono alla lavorazione del corallo erano i corallai  Cuyno, documentati anche come Cuchino e attestati a Trapani dal 1412 e al 1491: sono documentati sedici membri della stessa famiglia che furono maestri con propria bottega o lavoranti presso parenti o imprenditori che curavano la commercializzazione del prodotto. Non è difficile che alcuni membri della numerosa famiglia si siano trasferiti provvisoriamente o stabilmente a Palermo, dove ritroviamo il maestro corallaro trapanese Sabet Cuyno nella cui bottega lavoravano i trapanesi Mordachay e Braca, padre e figlio. Le altre famiglie che ebbero più di un rappresentante nell’arte sono: gli Actono, i Bulfarachi, i Chagegi, i Chilfa, i Chiusi, i Cuxa, i Greco, i Laurifici, i Levi, i Lu Presti, i de Medico e gli Ysacca o Xacca  

Altri maestri vissero a Trapani nel secolo XV; l’insieme di tanti esponenti della stessa arte legati tra loro da vincoli di parentela rappresentano un unicum nell’isola, infatti in nessuna altra città della Sicilia si ritrova, in rapporto al numero degli abitanti, una concentrazione cosi numerosa di maestri che esercitavano la stessa attività per un periodo così lungo.

La raccolta dei documenti pubblicati da Aldo Sparti illustra in maniera inconfutabile gli sviluppi dell’attività dei corallai ebrei di Trapani e attesta la loro numerosa presenza alla quale si dedicavano non meno di una quarantina di famiglie.

Si era affermata la scelta politico-economica di lavorare il corallo vicino alle zone di pesca; là, dove si organizzava la pesca e dove tornavano le barche, si trasferirono gli imprenditori e i maestri che aprirono le loro botteghe, a Trapani come a Barcellona; presso queste due comunità essi godevano dei benefici sulle franchigie per il pescato e per la fiera; era il valore aggiunto agli utili che determinava  la mobilità degli operatori da altre zone meno protette dai benefici regi. Coloro che si trasferirono non potevano ritornare nelle terre degli “infedeli” né andare fuori regno; erano legati al segreto per le zone di pesca e per le tecniche di lavorazione. La città vide crescere il numero dei residenti e si  verificarono forme d’inurbamento stabile sempre più articolate, soprattutto a Trapani nel quartiere S. Lorenzo e in quello di S. Pietro (18). Per gli ebrei residenti fu il trionfo dell’artigianato sul commercio; mentre i genovesi continuarono a frequentare Trapani soprattutto come imprenditori. Il quartiere  S. Lorenzo con la cappella di S. Giorgio non aveva tra i suoi abitanti solo genovesi, ma soprattutto famiglie ebree che gestivano le botteghe dei corallai che spesso per i genovesi lavoravano e insieme a loro lavoravano gli orafi e gli argentieri.

L’attività artigiana non era rivolta solo al commercio locale infatti il prodotto trapanese veniva trasferito da imprenditori soci o da mediatori in altre città dell’isola, soprattutto a Palermo, ma anche fuori regno come a Venezia o a Genova. I nostri intraprendenti maestri compravano anche corallo grezzo in Sardegna per rivenderlo lavorato, come nel caso di Samuele Cuyno, figlio di Braca che in società con Raffaele Chiuso comprava corallo grezzo in Sardegna per lavorarlo e rivenderlo. A volte il solo capitale posseduto era l’abilità tecnica e fidando su questa facevano società che  prevedevano l’impegno del finanziamento dell’imprenditore e quello del maestro produttore, come nel caso di Xalomo Cuyno che lavorava per Amitrano Barbaruso e Enrico La Mattina.

Gli orafi creavano piccoli gioielli con perle, coralli e pietre colorate, erano anelli intrecciati con la doppia perla o un solo grano era sostenuto da una piccola mano, cinture in argento o in rame dorato con incastri di perle e coralli, lunghe catene alle quali venivano infilati ciondoli, erano questi i doni di nozze  che arricchivano i cofanetti delle giovani spose, fossero giudee o cristiane; per gli uomini della nobiltà venivano realizzati anelli recante il sigillo con le armi delle casate incise con cura e attenzione. Per le case dei più ricchi venivano eseguiti oggetti in peltro e argento: erano piatti, bicchieri, fregi in cui al lavoro di fusione si accoppiava quello del cesello e la perizia orientale di realizzare splendenti smalti . Orafi argentieri e bronzisti collaboravano con i corallai per realizzare pezzi di indiscutibile pregio; a volte è il colore l’ elemento qualificante; i pezzi sono ripetitivi come le sferette o le lamelle di forme diverse; parlano soprattutto di tecnica di taglio, pulitura, lucidatura e selezione; pochi colpi di lima completano questo materiale che nella forma sferica veniva forato per le lunghe litanie buddiste, le invocazioni musulmane, e per i paternostri cristiani. Se agli ebrei era proibito realizzare oggetti del culto cristiano come ai cristiani era negata la fattura di quanto era in uso nella Sinagoga,  le sferette potevano essere commercializzate sfuse e venivano successivamente assemblate da mani “fedeli”. In ogni caso se non si trattava di oggetti liturgici venivano realizzati dai maestri più esperti piccole sculture  che indicano un gusto e danno il segno di un’ arte nascente che si ricollega all’arte alto medievale e tardo imperiale dell’incisione in ambito mediterraneo. L’ uso del bulino e del cesello nelle lavorazioni coadiuva il mastro corallaio con interessi estetici e rinnovate abilità tecniche. Gli scarti di lavorazione e il materiale scadente venivano venduti agli operatori che li utilizzano nella farmacopea.

Il corallo grezzo veniva suddiviso per qualità, colore e diametro ed era venduto a peso; ma i pezzi sani e grossi erano venduti a parte e rappresentavano un prodotto di nicchia per una clientela selezionata.

Dopo l’espulsione del 1492  la presenza ufficiale ebraica scomparve dalla Sicilia e da  Trapani; ma molti rimasero grazie ai vantaggi della conversione; furono coloro che nella prima generazione erano indicati come neo-cristiani o conversi, ma i loro figli furono inclusi negli elenchi dei battezzati e proseguirono nell’attività che i loro padri avevano esercitato: anche loro, insieme ai cristiani crearono la prima struttura consolare dei corallai che tanto sviluppo e importanza ebbe nei secoli successivi.

E’ vietato copiare, riprodurre o utilizzare, parzialmente o in toto, il presente testo, senza l'autorizzazione dell'autore.