ASSOCIAZIONE AMICI DEL MUSEO PEPOLI  -  Trapani
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il restauro dei preziosi manufatti ... ha soprattutto sollecitato una seria riflessione sulle modalità di conservazione di beni tanto fragili e suscettibili di degrado.  ... si è concretizzata con la realizzazione di un ambiente bipartito, in cui poter monitorare costantemente i dati relativi alla temperatura ed alla umidità

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

risulta indispensabile mantenere i manufatti tessili in piano per un tempo pari almeno a quello della esposizione in verticale

 

Un sofisticato sistema computerizzato permette il controllo microclimatico attivo dei due ambienti, con monitoraggio perenne dell’umidità presente

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Gli abiti prendono vita grazie a cinque sofisticati manichini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ingegnoso l’espositore del ventaglio (fig. 10), un sofisticato gioco di specchi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’allestimento della nuova Sezione

“Abiti ed accessori dei secoli XVIII e XIX del Museo Pepoli”*

Anna Occhipinti

     
   Fig. 1      Fig. 2,3 Due abiti "adrìenne" (ultimo quarto del '700)  

L’idea di una piccola sezione (fig. 1) dedicata alla veste antica è scaturita dal desiderio di rendere fruibile al vasto pubblico un piccolo nucleo di abiti ed accessori  riportati all’antico splendore da una equipe di esperti del Centro Regionale per la Progettazione e il Restauro.

 
  Fig. 4 Probabile abito nuziale ascrivibile al 1840
 

 
 

               Fig. 5 Livrea

 
 
  Fig. 6 Livrea  

La nuova sezione espositiva, per coerenza tematica, non poteva trovar luogo migliore della piccola sala, già denominata del “tesoretto”,  preceduta dalla galleria dei coralli in cui figura una pianeta ricamata e seguita da quella dei paliotti dove è esposto il pregiato antependium raffigurante un prospetto architettonico, ricamato con fili d’argento, perline di corallo e granatine.

Il restauro dei preziosi manufatti, sette in tutto, costituiti da due abiti femminili detti andrìenne, (figg. 2,3) databili attorno all'ultimo quarto del Settecento, una veste femminile, probabile abito nuziale ascrivibile al 1840 (fig. 4), due livree per servitù o per dipendenti pubblici di inizio Ottocento (figg. 5,6)  un ventaglio con pagina in carta decorata a stampa, sorretta da stecche in osso traforato dorato (fig. 7), un paio di calzature femminili in cuoio, del XIX secolo (fig. 8) , ed una pettinessa in ottone e cammei di turchese, della prima metà dell’ottocento (fig. 9), oltre ad offrire lo spunto per arricchire il patrimonio espositivo, ha soprattutto sollecitato una seria riflessione sulle modalità di conservazione di beni tanto fragili e suscettibili di degrado. Tale riflessione ha inciso profondamente nell’idea progettuale, che si è concretizzata con la realizzazione di un ambiente bipartito (fig. 11), in cui poter monitorare costantemente i dati relativi alla temperatura ed alla umidità, dove poter esporre ed al contempo riporre i  preziosi manufatti.

 
  Fig. 7 ventaglio con pagina in carta decorata a stampa, sorretta da stecche in osso traforato dorato

 

 
  Fig. 8 calzature femminili in cuoio, del XIX secolo

 

 
  Fig. 9 pettinessa in ottone e cammei di turchese, della prima metà dell’ottocento

Un’unica grande vetrina, dalle line sinuose ,  è stata pensata per offrire alla pubblica fruizione ed al contempo proteggere non più di tre capi alla volta, insieme con i delicati accessori.

Attuando i dettami della psicologia cognitiva che studia i principi dell'apprendimento (apprendimento considerato quale processo attivo in cui il discente utilizza l'input sensoriale per costruire significati a partire dall’oggetto fruito) si invita l’osservatore ad entrare dentro la “scena”  espositiva, “attraendolo” grazie alla concavità dell’anta, che con la sua sinuosità rimanda alle rotondità femminee ed al contempo alle romantiche volute degli abiti che tali forme enfatizzano.

Il confronto con l’allestimento precedente sorge spontaneo, alla rigida chiusura del vano architettonico, tramite un cancello metallico a riquadri geometrici, che indubbiamente allontanava il visitatore, oggi è contrapposta una “gentile” ed immateriale cesura pensata per  coinvolgere sia fisicamente che emotivamente lo spettatore, senza indulgere però all’esigenza della tutela e della corretta conservazione.

La tinta bianca, acrilico ad acqua, scelta per le pareti, fa risaltare i delicati toni dei preziosi tessuti degli abiti, senza competere con essi,  mentre il colore dorato della betulla, utilizzato per la base della vetrina, in accordo cromatico con le tinte delle vesti femminili, sembra il prosieguo dei pomposi strascichi. Di rosso brillante è stata tinteggiata la parte metallica, sostegno dell’unica anta curvilinea che consente l’accesso al vano espositivo, in modo da rimarcare l’elemento cornice. Questo colore, oltre ad essere presente nel  prezioso pavimento in breccia della saletta, richiama i delicati fiori ricamati nelle due andrìenne ed  al contempo rimanda ai preziosi coralli del Museo.    

Considerato che, per prevenire  i cedimenti delle fibre, risulta indispensabile mantenere i manufatti tessili in piano per un tempo pari almeno a quello della esposizione in verticale, è stato previsto sul retro della vetrina un piccolo locale, reso accessibile da un pannello scorrevole, atto a contenere una speciale cassettiera (fig. 14). Questa, progettata ad hoc dai tecnici del Centro del Restauro, realizzata in acciaio inox, con cassetti estraibili di adeguate dimensioni, in griglia traforata, consente di  riporre i sontuosi abiti tra una esposizione e l’altra, nel rispetto del loro ingombro, e faciliterà il loro trasporto quando necessario.

Un sofisticato sistema computerizzato permette il controllo microclimatico attivo dei due ambienti, con monitoraggio perenne dell’umidità presente, i cui valori devono esser compresi tra il 45% e il 55%, deumidificando o umidificando secondo la necessità.

Piccoli diodi led, azionati da un sensore di presenza, ad alta resa cromatica (con una temperatura di luce a 3200° kelvin e C.R.I . intorno al 90%  a 12v), illuminano in modo puntuale ed al bisogno i singoli oggetti, senza i nocivi infrarossi e gli ultravioletti, responsabili del degrado assoluto dei colori su fibra tessile.

Un sensore di prossimità regola infatti l’accensione delle lampade, entrando in azione solo in presenza di pubblico, producendo anche un gradevole effetto sorpresa, un senso di meraviglia  che stimolerà la curiosità e quindi la conoscenza  (Francesco Bacone).

La sala è stata resa buia grazie ad una tenda ignifuga, a schermatura del 98%, che impedisce la penetrazione dei raggi solari dalla finestra esistente, sita nella parete opposta all’ampia vetrina. Il vecchio infisso in lamiera di metallo, obsoleto, è stato sostituito con altro a totale barriera termica, munito di vetro camera antisfondamento, con lastra esterna riflettente ed anti ultravioletto.

Per l’ampia tenda è stato scelto il medesimo colore utilizzato per l’anta della vetrina, in modo da costituire un cromatico fondale al pregevole Stipo, opera di maestri napoletani di fine XVII  - inizi XVIII secolo, che vi troverà la sua collocazione definitiva a conclusione della breve mostra dove, a ridosso dell’ampio tendaggio, sono esposti due dei cinque abiti restaurati unitamente a cinque parrucche, vere e proprie opere d’arte moderna, realizzate in materiale eterogeneo, che riproducono tre acconciature maschili e due acconciature femminili

In poliestere sono invece quelle proposte in accordo ai diversi abiti esibiti. Queste, oltre a completare la scenografica composizione, consentono una adeguata ricostruzione storico- etnografica delle eleganti mise, evocando le acconciature dell’epoca.

Tutte realizzate dagli studenti dell’Accademia delle Belle Arti di Palermo, sotto la direzione artistica della loro Prof.ssa Arianna Oddo e l’ausilio del laboratorio dei Docenti, costituiscono originali prototipi.

Gli abiti prendono vita grazie a cinque sofisticati manichini messi in opera dalla  Ditta Floridia (che ha eseguito con passione anche i lavori di allestimento della piccola sala, su progetto di chi scrive), nel rispetto scrupoloso delle indicazioni fornite dai tecnici del Centro. 

I corpi, scolpiti nel pregiato legno di cedro, con il loro ingegnoso supporto in acciaio inox, regolabile in altezza e ampiezza, consente  di adattarli ad abiti di diversa dimensione; rivestiti con poliestere ignifugo ed un tessuto in licra di colore nero, sono quasi del tutto invisibili. Nere naturalmente anche le teste, tinteggiate con pittura ad acqua, scolpite però in legno di cipresso.

   Fig. 10

Ingegnoso l’espositore del ventaglio (fig. 10), un sofisticato gioco di specchi consente di vedere sia il recto che il verso del raffinato monile, ed ammirare i suoi dipinti realizzati  nei due lati.

Accanto ai preziosi abiti, anche una pettinessa in ottone, con cammei di turchese scolpiti, databile alla prima metà dell’Ottocento; questo oggetto assai di moda nel periodo romantico, completa le eleganti acconciature delle dame a la page.

Infine un congegno meccanico, da azionare a piacere tramite un pulsante sito nell’anta della vetrina, consente ai visitatori di apprezzare anche il lato posteriore degli abiti. Tale congegno è stato pensato soprattutto per le due andrìenne, per offrire alla vista anche lo strascico, con il suo ricco pannello di pieghe fermate sul tergo.

Ad appositi pannelli didattico-illustrativi è stato demandato il compito della comunicazione scientifica con la descrizione per immagini del piccolo miracolo operato dai restauratori.

“Miracolo” che si spera possa interessare i futuri visitatori, sempre più sensibili agli stimoli delle così dette “arti minori” che hanno riconquistato piena dignità rispetto alle “arti maggiori” e che fanno del Pepoli, con le sue preziose ed eterogenee collezioni, prevalentemente trapanesi,  uno dei poli espositivi di arti applicate più importanti della Nazione.

 

*Il testo è tratto da “Tracce di storia dai guardaroba siciliani. Restauro e conservazione di abiti ed accessori del Museo Regionale “Agostino Pepoli di Trapani, XVIII – XIX secolo”, Quaderni di Palazzo Montalbo n. 16, Palermo 2012, pp.161-165.

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