ASSOCIAZIONE AMICI DEL MUSEO PEPOLI  -  Trapani


MUSEO PEPOLI cento anni di storia

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Il Museo diretto da Antonino Sorrentino,

tra continuità e rinnovamento

Daniela Scandariato

 

    Alla morte di Agostino Pepoli, primo Direttore del Museo, il Consiglio di amministrazione affrontò con una certa sollecitudine il problema della successione alla guida dell’Istituto. L’art. 20 dello Statuto, pubblicato con Regio decreto il 1 ottobre del 19091, disciplinava i criteri di designazione del direttore, che avrebbe dovuto essere nominato dallo stesso Consiglio a seguito di pubblico concorso da tenersi a Firenze2.
   Il concorso, bandito nel marzo del 1911
3, si concluse con l’individuazione quale vincitore di Antonino Sorrentino, giovane studioso napoletano, appena trentenne, laureatosi a pieni voti presso la Regia università di Napoli, allievo della Scuola Italiana d’Archeologia di Roma, che poteva vantare al suo attivo svariate pubblicazioni scientifiche nell’ambito dell’archeologia classica e cristiana4. La relazione redatta dalla commissione esaminatrice nel marzo del 1912 ci offre degli spunti di riflessione su quale fosse all’epoca la vocazione primaria del Museo5. In un contesto culturale generale che attribuiva agli studi archeologici un prestigio superiore rispetto a quelli storico-artistici, la commissione riteneva che le competenze metodologiche e scientifiche del candidato fossero tali da consentirgli di ricoprire con merito il ruolo per il quale concorreva; nel riconoscere che lo studioso non mostrava specifiche competenze nel campo dell’arte dei secoli XVII e XVIII, le cui raccolte all’interno dell’istituzione museale erano da ritenersi di un certo pregio, si faceva notare che l’indirizzo programmatico dell’Istituto avrebbe dovuto rivolgersi non tanto alla valorizzazione ed all’ampliamento delle collezioni d’arte di quel periodo, già ampiamente presenti nella vicina Palermo, quanto piuttosto al potenziamento degli studi e degli scavi archeologici nella Sicilia Occidentale, al fine di mettere in luce gli avanzi della grecità classica, compito per il quale il Sorrentino appariva senz’altro idoneo. Tale impostazione veniva largamente condivisa dal Consiglio di amministrazione, che, nella seduta del 29 marzo 1912, sposando l’indirizzo suggerito dalla commissione6, nominava il nuovo direttore7. Di di verso tenore tuttavia sarebbero state in futuro le scelte del capo d’Istituto, il quale, come vedremo in seguito, pur non tralasciando il riordino delle raccolte archeologiche, cui si dedicò con vigore negli ultimi anni del suo incarico, seppe intuire con largo anticipo l’importanza e l’unicità dell’artigianato artistico trapanese dei secoli XVII e XVIII.

 

    Alla nomina seguì, a breve distanza, l’approvazione di un regolamento organico dell’Istituto8 e, nel giugno del 1912, la pubblicazione del bando di concorso a titoli ed esami al posto di Conservatore-segretario9, dal quale risultò vincitore il ragioniere Tommaso Passalacqua, cui fu affidata, secondo l’articolo 22 dello Statuto, la consegna del fabbricato e di quanto contenuto, «al fine di curarne la custodia e l’integrità»10.
    L’operato del Sorrentino, in carica per 15 anni, può essere valutato attraverso la lettura delle relazioni annuali
11 che egli sottoponeva periodicamente al Consiglio di amministrazione per rendere conto del suo lavoro, pubblicate per stralci nell’«Archivio Storico Siciliano»12. Da questi documenti e dal tenore dei suoi interventi nel corso delle sedute del Consiglio emerge una personalità forte e vigorosa, una tempra orgogliosa e fiera, che associava il rigore dello studioso all’attenzione costante verso le problematiche della conservazione delle opere d’arte, della fruizione e della didattica museale.
 

Il riordinamento del Museo (prima fase)

    Nei primi due anni di permanenza nel nuovo incarico il Direttore avviava un organico ordinamento delle collezioni, con uno snellimento ed una razionalizzazione del materiale esposto, privilegiando, ove possibile, un’impostazione cronologica; tali operazioni determinarono il superamento del criterio di “massima esposizione possibile” adottato dal Pepoli e la conseguente collocazione di alcuni beni, ritenuti di non rilevante interesse storico-artistico, nei depositi museali. Così si esprimeva nel 1914: «era un materiale svariato che il Pepoli radunò qui con la sua ammirevole tenacia e, senza ordinarlo, legò in testamento al primo direttore del Museo la non facile impresa di un riordinamento razionale e scientifico. Dare a queste raccolte una sistemazione, fin dove era possibile cronologica, esporre, dopo rigorosa selezione, le importanti e migliori entro ambienti arredati con semplicità e decoro furono i concetti informatori del mio nuovo ordinamento »13.
   La selezione dei materiali comportò in quegli anni la restituzione di numerosi beni ecclesiastici (dipinti, sculture, suppellettili), ritenuti di non rilevante interesse artistico, alle rispettive chiese di pertinenza, per esigenze di culto.

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