ASSOCIAZIONE AMICI DEL MUSEO PEPOLI  -  Trapani


MUSEO PEPOLI cento anni di storia

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Lina Novara ______________________________________________________________________________________________

 

con il Bambino ed Angeli reggicortina (1435-1450), un’opera forse importata dalla Spagna che, per esuberanza decorativa e per eleganza di linee e di colori, viene attribuita ad un maestro valenziano, operante sul finire della prima metà del secolo Xv, nell’ambito di Ramon de Mur o Pedro Nicolau13.
   Nel 1858 Michele Pepoli morì lasciando l’intero patrimonio e la collezione ai nipoti Antonio, Agostino e Fabrizio, mentre ai fratelli Riccardo e Fabrizio riservò l’usufrutto dei beni; Agostino aveva dieci anni.
   Alla fine dell’anno la collezione venne trasferita a Trapani nella casa dei Pepoli, nell’attuale corso vittorio emanuele, dove abitavano Riccardo con la moglie e i figli ed il fratello Fabrizio, celibe.
   Il padre di Agostino, Riccardo, diventa così il depositario della collezione di Michele, lasciata ai figli minorenni, e la aggiunge alla sua.
   Nella raccolta vi erano «più di milleduecento quadri, fra i quali non pochi di molto valore, moltissimi vasi di urbino, Castel Durante, Faenza, Cafaggiòlo e degli Abruzzi»
14; magnifici vetri di Murano, vasi arabi, bronzi, avori, vasi fittili e antiche porcellane di Sassonia, vienna e Capodimonte; una collezione di monete, greche di Sicilia, imperiali romane, e medievali italiane.
   Lo stesso Agostino si dedicò alla catalogazione degli oggetti esistenti nella casa di Trapani. Non conosciamo i criteri con cui la collezione era ordinata, ma presumibilmente i quadri ricoprivano completamente le pareti e gli altri oggetti erano disseminati tra le varie stanze.
   Pensiamo ad una specie di wunderkammer dove erano raccolte «anticaglie», «naturalia», «mirabilia», opere eterogenee per fattura, qualità e provenienza.
   «Naturalia» erano «un uovo di struzzo con suo piedistallo d’ argento, … due zuccareri di cocco ingastati d’argento… un uccello imbalsamato»
15.
   «Mirabilia» erano oggetti rari e curiosi, indigeni e stranieri, come alcuni manoscritti che sorprendevano l’osservatore «per la lindura della membrana, e per quelle capilettera di brillante eleganza, dorate di oro e fregiate di miniature»
16.
   Alcuni oggetti d’arte sicuramente provenivano dal mercato antiquario, altri, la maggior parte, erano prodotti dell’artigianato locale del corallo, dell’avorio, del marmo, del legno tela e colla, dell’ambra, della madreperla; tra questi un Crocefisso e un San Sebastiano in «pietra incarnata » (sec. XvII), entrambi ora al Museo, comunemente in passato attribuiti al trapanese Andrea Tipa, esperto, come il fratello Alberto, nella lavorazione di questa particolare pietra locale, più verosimilmente da riferire ad una bottega specializzata nella lavorazione di quel particolare marmo alabastrino di colore beige-rosato con venature dal grigio al nero, al rosso bruno, tratto da una cava di

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Valderice che imitando le lividure della pelle, veniva utilizzato nei secoli XvII e XvIII per realizzare soprattutto espressive statuette di Cristo in croce, deposto o flagellato17.


Scultore trapanese, San Sebastiano, secolo XVII

   Come tutte le raccolte pubbliche o private che accoglievano oggetti di «arti minori», soprattutto nell’Italia meridionale, la collezione conteneva quell’esemplare di presepe in materiali marini con un «gran numero di figure marmoree d’uomini e di animali, eseguiti con mente feconda, generosa, e delicata, e con tutte le graziose caratteristiche convenienti alle di loro espressioni», menzionato dal Di Ferro18.
   Alcuni quadri probabilmente erano stati acquistati a Napoli tramite il Fardella cui Riccardo era legato da grande amicizia.
   Ma un anno dopo la morte di Michele, nel 1859, muore anche Riccardo: i tre figli minorenni Antonio, Agostino e Fabrizio sono gli eredi universali, tranne che per la sua collezione e i suoi libri che Riccardo lascia invece al fratello Fabrizio, esprimendo però, nel testamento, il desiderio che Fabrizio, a sua volta, ne facesse dono a chi dei tre ragazzi si fosse distinto nello studio e nella condotta (e non era sicuramente il caso di Agostino)19. Il barone Fabrizio nel 1861 diventa inoltre l’unico tutore dei nipoti, in quanto la madre di Agostino, elisabetta Alagna, si risposa con Nunzio Marini e perde la tutela dei figli.
   In quel momento quindi Agostino che aveva 13 anni era il destinatario soltanto di un terzo della collezione dello zio Michele, in quanto il padre aveva lasciato la sua collezione al fratello Fabrizio.